Il governo continua a diffondere illusioni ottimistiche sulla situazione economica del Paese, ma la realtà dei numeri, che nessuna propaganda può cancellare, dice altro: le politiche fiscali adottate favoriscono ancora una volta i ceti più ricchi e penalizzano i lavoratori dipendenti, i pensionati, le famiglie popolari.
Il taglio dell’Irpef viene presentato come una misura per “aiutare tutti”, ma è noto che l’85% del beneficio si concentra nell’8% più abbiente. Ad un dirigente arrivano oltre quattrocento euro, ad un operaio poco più di venti. È una distorsione inaccettabile, che rivela con chiarezza la natura di classe di questa manovra.
Dal 2021 al 2024 la pressione fiscale complessiva è risalita dal 42,3% al 42,5%, il livello più alto degli ultimi dieci anni, ma questo aumento non grava affatto su chi vive di rendita o dispone di grandi patrimoni: si scarica quasi interamente su chi percepisce un salario, su chi versa contributi, su chi non può eludere né evadere.
Intanto l’evasione fiscale e contributiva rimane a livelli enormi: oltre 90 miliardi di imposte sottratte ogni anno, più di 30 miliardi di contributi non versati, un’economia sommersa che sfiora l’11% del PIL. È una ferita alla Repubblica e un attacco diretto alla giustizia sociale.
Il governo non ha il coraggio di colpire questo blocco di interessi che rappresenta oggi una parte consistente del potere economico del Paese, e preferisce continuare a chiedere sacrifici proprio ai lavoratori onesti.
Nel frattempo, nel mondo del lavoro cresce la precarietà: contratti brevi, bassi salari, turni frammentati. I redditi reali sono stati erosi dall’inflazione e la povertà assoluta raggiunge livelli che ricordano periodi difficili della nostra storia repubblicana.
Sempre più italiani sono costretti a rinunciare a cure essenziali: oltre 4,2 milioni non possono permettersi visite e trattamenti medici. Questo dato, da solo, basta a smentire ogni retorica trionfalistica sullo “sviluppo”.
Non siamo di fronte a episodi isolati, ma a un disegno complessivo che accentua le disuguaglianze, indebolisce il lavoro e mette in discussione i principi fondamentali della Costituzione, nata dalla Resistenza e fondata sulla dignità della persona e sul ruolo centrale del lavoro.
Il Partito della Rifondazione Comunista denuncia con fermezza questo modello economico ingiusto e regressivo.
Occorre una svolta profonda: una vera riforma fiscale progressiva, il contrasto effettivo all’evasione, l’aumento dei salari, la lotta alla precarietà, il rafforzamento dello Stato sociale, un grande piano nazionale di investimenti pubblici, la difesa della sanità universale e dei diritti del lavoro.
L’ interesse generale contro i privilegi di pochi. La Repubblica appartiene a chi la sostiene con il proprio lavoro, non a chi vive di rendita o sottrae ricchezza alla collettività.
L’organizzazione e la partecipazione dei lavoratori possono cambiare realmente i rapporti di forza nel Paese e oggi più che mai, questa battaglia è necessaria e urgente: per questo Rifondazione Comunista si schiera a loro fianco contro la Finanziaria del governo Meloni, sostenendo sia gli scioperi generali del sindacati di base del 28 novembre, sia lo sciopero indetto dalla Cgil nella giornata del 12 dicembre.
Rifondazione Comunista
Federazione di Ferrara