La vicenda del dipinto di Rutilio Manetti La cattura di San Pietro torna al centro della scena giudiziaria e riporta Vittorio Sgarbi sotto i riflettori, questa volta non per questioni di salute o dissidi familiari, ma per la “madre di tutte le inchieste” che lo riguarda. La Procura di Reggio Emilia ha infatti chiesto il rinvio a giudizio del critico d’arte per il reato di riciclaggio, accusandolo di aver compiuto operazioni volte a ostacolare la ricostruzione della provenienza illecita dell’opera, rubata nel 2013 dal castello di Buriasco e ricomparsa anni dopo in una mostra lucchese come sua proprietà. La pena prevista va da due a sei anni, ma la posizione di Sgarbi potrebbe aggravarsi.
Gli avvocati del critico, Alfonso Furgiuele e Giampaolo Cicconi, confermano la richiesta della Procura, precisando però che i reati di contraffazione e autoriciclaggio di beni culturali sono stati archiviati dal Gip. Al momento, spiegano i legali, non hanno ancora depositato memorie difensive né intrapreso iniziative formali.
A ricostruire la storia del quadro era stata un’inchiesta congiunta de Il Fatto Quotidiano e Report: dal furto alla misteriosa alterazione dell’opera, resa riconoscibile per la comparsa di una candela dipinta successivamente. Proprio l’intervento sull’opera – avvenuto a Reggio Emilia e attribuito al pittore Lino Frongia, non indagato – ha determinato il trasferimento dell’indagine da Macerata alla città emiliana, dove ieri si è svolta un’udienza a porte chiuse.
A seguire personalmente il fascicolo è stato il procuratore capo Calogero Gaetano Paci, insieme al sostituto Maria Rita Pantani. Gli elementi raccolti, tra il lavoro dei giornalisti e le indagini del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, hanno portato a una richiesta considerata “scontata”. Se riconosciuto colpevole, Sgarbi rischia fino a dodici anni di carcere.
Davanti al giudice Luca Ramponi si è discusso anche del dissequestro del dipinto, richiesto dalla proprietaria originaria, Margherita Buzio. Fu lei, nel 2013, a indicare ai carabinieri i nomi di chi si era mostrato interessato all’acquisto dell’opera prima del furto, tra cui quello di Paolo Bocedi, storico collaboratore di Sgarbi.
Dopo la sparizione, il quadro fu affidato al restauratore bresciano Gianfranco Mingardi, uomo di fiducia di Sgarbi, che lo trattenne per mesi prima di riconsegnarlo ancora privo della candela. L’opera sarebbe poi riemersa alla Cavallerizza di Lucca nel 2021, presentata come un ritrovamento nella soffitta della villa Maidalchina, in provincia di Viterbo. Una versione però smentita sia dalle contraddizioni dello stesso Sgarbi, sia dalla perizia dell’Istituto del Restauro, firmata dalla consulente della Procura Barbara Lavorini, che ha confermato senza dubbi la paternità del dipinto e l’aggiunta della candela con pigmenti moderni.
La ricostruzione si complica ulteriormente con la scoperta che Sgarbi avrebbe fatto riprodurre il quadro in un laboratorio di Correggio, portando in mostra la copia anziché l’originale e inducendo in errore pubblico e critica. Non sono mancati, nel frattempo, attacchi frontali ai giornalisti che avevano ricostruito la vicenda.
Dopo le rivelazioni de Il Fatto e Report, Sgarbi non ha mai ammesso responsabilità né manifestato intenzioni conciliatorie: ha provato a bloccare le puntate della trasmissione Rai, ha querelato i cronisti e, pur annunciando le dimissioni da sottosegretario, ha ribadito di “non doversi scusare con nessuno”. La prossima decisione del giudice indicherà la direzione in cui il caso è destinato a muoversi.
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