Attualità
3 Novembre 2025
Una riflessione di Chiara Baratelli, psicoanalista lacaniana e sessuologa, dopo le affermazioni di Belen Rodríguez sui suoi fidanzati: "Li ho menati tutti"

Dal talk show all’inconscio collettivo: il riso che normalizza la violenza

di Redazione | 3 min

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Ridere della violenza femminile significa negare la sua esistenza. E con essa, la possibilità stessa di pensare la responsabilità del gesto.

Nei giorni scorsi Belen Rodríguez, durante un’intervista televisiva, ha dichiarato con disinvoltura: “i miei fidanzati li ho menati tutti, sono manesca. De Martino ne ha prese più di tutti”. Il pubblico ha riso, la conduttrice ha sorriso, e l’episodio si è dissolto nel solito flusso di leggerezza televisiva. Eppure, in quella battuta apparentemente innocua si manifesta un sintomo del nostro tempo: quando la violenza è agita da una donna, il discorso pubblico la depotenzia, la traveste da temperamento, da gelosia, da eccesso d’amore. Se fosse stato un uomo a pronunciare la stessa frase, la reazione mediatica e sociale sarebbe stata immediata e feroce. Ma quando l’aggressore è una donna, la violenza viene addomesticata, resa folkloristica.

La psicoanalisi ci insegna che il simbolico non conosce quote di genere: la violenza è sempre un fallimento della parola, un eccesso di godimento che invade il corpo e lo sottrae al senso. L’atto violento, che parta da un uomo o da una donna, nasce da un punto di rottura del linguaggio, là dove il soggetto non riesce più a dire ma solo a colpire. Quando il gesto femminile viene derubricato a “impulso”, la cultura compie un atto di rimozione collettiva, nega la possibilità di pensare il reale di quella violenza, e così la lascia indisturbata.

Non si tratta di stabilire equivalenze o di negare la gravità strutturale della violenza maschile — che resta, nei numeri e nelle storie, la forma dominante e più letale — ma di ricordare che la violenza non ha genere, e che ogni volta che la minimizziamo, la riproduciamo. La frase di Belen è un lapsus sociale: un’emersione dell’inconscio collettivo che mostra quanto sia ancora intollerabile, per l’immaginario, pensare una donna che colpisce. La si trasforma allora in barzelletta, la si svuota del suo significato simbolico, la si neutralizza per poter continuare a credere che la violenza sia un problema solo maschile.

Ma il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, può e deve essere anche l’occasione per una riflessione più radicale: la violenza è ciò che resta quando il soggetto rinuncia alla parola e all’elaborazione del desiderio. Non è il contrario dell’amore, ma la sua caricatura, la sua impossibilità. Ridere di una donna che colpisce significa ridere della violenza stessa, banalizzarla, lasciarla agire indisturbata.

La vera parità passa anche da qui: dal riconoscere che nessun corpo, maschile o femminile, è innocente di fronte al proprio eccesso. E che ogni volta che la parola tace, la violenza prende parola al nostro posto.

*psicoanalista lacaniana e sessuologa

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