Ottobre è il Mese della Prevenzione del Tumore al Seno, conosciuto anche come Ottobre Rosa. L’obiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della diagnosi precoce attraverso screening e controlli. Le donne con protesi mammarie non sono esenti da rischi e devono seguire le stesse raccomandazioni di prevenzione.
Cosa vuol dire la parola sicurezza quando si parla di protesi mammarie? Ne abbiamo parlato con il Prof. MARCO CANDIANI Specialista in Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica presso Poliambulatorio Aesthe Medica di Ferrara, Dirigente Medico di I° livello U.O.C. di Chirurgia Plastica Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, Professore a contratto in Chirurgia Plastica, Università degli Studi di Ferrara.
Esiste attualmente un registro nazionale e regionale degli impianti protesici mammari- spiega il prof. Candiani- presso il quale il chirurgo plastico ha l’obbligo di registrare gli impianti mammari, ove egli inserisce tutti i dati della protesi, riportando tipo di intervento, sede, lateralità, marca di impianto, modello, lotto, numero di serie. Questa tracciabilità degli impianti, assieme alla collaborazione scientifica nazionale e internazionale, ha fornito un ulteriore contributo in termini di sicurezza delle protesi mammarie. La “sicurezza” delle protesi mammarie si riferisce a due aspetti principali: la qualità e la resistenza del dispositivo (che sia difficile da rompere e non causi danni in caso di rottura) e la bassa incidenza di complicanze (come contratture capsulari, infezioni o problemi sistemici) per il paziente. La sicurezza include anche la durabilità del dispositivo, la scelta di un prodotto di alta qualità ed eseguire controlli periodici clinici e strumentali delle protesi, per individuare e trattare precocemente eventuali problematiche. Le protesi attuali sono molto resistenti, con involucri multistrato e gel di silicone coesivo. Questo significa che, anche in caso di rottura, il gel è coeso e tende a rimanere all’interno del seno, senza spargersi all’esterno. Sicurezza per il paziente significa basso rischio di complicazioni locali come la rottura della protesi (evento raro ma possibile, che può causare dolore, gonfiore e deformazione), contrattura capsulare (formazione una capsula eccessiva di tessuto cicatriziale intorno alla protesi, che può alterarne la forma e causare dolore nei casi più gravi), dislocazione dell’impianto (la protesi può spostarsi dalla sua posizione originale, infezioni (rischio associato a qualsiasi intervento chirurgico). Fattori che aumentano la sicurezza: sicuramente la scelta di utilizzare una protesi di alta qualità ed affidarsi per l’intervento a un chirurgo plastico estetico qualificato ed esperto, che opera in strutture di ricovero perfettamente abilitate e attrezzate per minimizzare il rischio di eventuali complicanze.
LE PROTESI AL SENO CAUSANO IL CANCRO?
Gli ampi studi disponibili – prosegue lo specialista – mostrano che le donne con protesi mammarie non sono soggette a un rischio più elevato di cancro al seno rispetto alle donne senza protesi mammarie. In altre parole, una protesi mammaria non ha alcuna influenza sull’insorgenza del cancro al seno. Diversi studi hanno evidenziato come le pazienti portatrici di impianti mammari tendano generalmente ad eseguire controlli più frequenti per monitorare lo stato di salute degli impianti mammari, questo comportamento si traduce contestualmente in un monitoraggio ancor più accurato della propria salute anche in ambito senologico.
LE PROTESI RENDONO DIFFICILE LA DIAGNOSI DI TUMORE?
Le protesi non ostacolano le immagini radiologiche sia se posizionate dietro che davanti al muscolo pettorale-precisa l’esperto- bisogna però eseguire gli esami di screening senologici con tecniche diagnostiche moderne, come la mammografia modificata e l’ecografia o la risonanza magnetica (RM), in centri diagnostici specializzati per la senologia. Bisogna affidandosi a radiologi esperti, informarli della presenza delle protesi mammarie e che abbiano a disposizione macchinari di ultima generazione, che consentano di utilizzare tecniche diagnostiche specifiche, come le proiezioni mammografiche aggiuntive (displacement views), per visualizzare la maggior quantità possibile di tessuto mammario, superando l’ostruzione creata dalle protesi durante la mammografia standard. Rimane regola universalmente valida monitorare con regolarità il proprio seno (autopalpazione) e segnalare al medico tempestivamente eventuali noduli, cambiamenti nella forma o dimensione, dolore, o altri sintomi. La prevenzione è l’arma più potente per sorvegliare la propria salute, i programmi di screening senologico e di controllo senologico, che può includere controlli annuali con mammografia, ecografia e/o RM, a seconda dell’età e della situazione della paziente, permettono di individuare precocemente un eventuale tumore della mammella, aumentando sensibilmente l’efficacia delle cure e la sopravvivenza a distanza.
LE PROTESI HANNO UNA DATA DI SCADENZA? DEVONO ESSERE SOSTITUITE OGNI 10 ANNI?
L’idea della sostituzione delle protesi ogni 10 anni è un mito da sfatare, specialmente per le protesi di ultima generazione- chiarisce lo specialista- che sono realizzate con materiali più resistenti e sono progettate per durare più a lungo. Da un lato è vero che le protesi idealmente non hanno una data di scadenza fissa, ma, come tutti i dispositivi impiantabili, sono soggetti ad usura. La loro durata nel tempo dipende da vari fattori, sia di ordine biologico individuale, comprese le abitudini di vita, sportive, lavorative e lo stato di salute, sia legati alla qualità stessa dei materiali di cui è costituito l’impianto utilizzato. Il monitoraggio dello stato delle protesi va fatto a cadenza regolare negli anni per confermarne l’integrità. Generalmente le prime fasi di usura delle protesi (alterazioni-fessurazioni dell’involucro) non danno sintomi, ma vengono scoperte incidentalmente durante una mammografia e ecografia di screening. In caso di dubbio di rottura protesica in ecografia o in mammografia, si consiglia di eseguire la risonanza magnetica nucleare (RMN), esame principe di secondo livello, per studiare in maniera dettagliata lo stato di integrità delle protesi e dei tessuti mammari limitrofi.
La sostituzione o, in alcuni casi, la rimozione protesica diventa necessaria solo in caso di complicanze clinicamente manifeste, come una rottura protesica vera e propria, un sieroma freddo tardivo, un’infezione, una contrattura capsulare grave e dolente di stadio II o IV, se compaiono sintomi acuti come dolore, rossore, o un cambiamento evidente della forma del seno. Ci sono poi dei casi in cui le protesi vengono sostituite per che la paziente desidera un cambiamento estetico, ovvero se la paziente se la desidera modificare la dimensione o la forma delle protesi.
Tale situazione può avvenire in seguito a un aumento o a un calo di peso significativo, in seguito al rilassamento dei tessuti con il passare degli anni il seno può scendere (ptosi mammaria) e la paziente optare di abbinare la sostituzione protesica con una mastopessi (sollevamento) del seno
LE PROTESI CAUSANO MALATTIE AUTOIMMUNI O MALATTIA DA PROTESI?
La sindrome da malattia delle protesi (BII – Breast Implant Illness) e la sindrome di ASIA (Autoimmune/Inflammatory Syndrome Induced by Adjuvants) o malattia adiuvante umana (HAD: Human/Adjiuvant/Disease) sono delle rare sindromi autoimmuni che sono state correlate in alcuni casi a possibili reazioni autoimmuni innescate da una ipersensibilizzazione prolungata a materiali estranei, come il silicone delle protesi, ma non vi è una alcuna evidenza scientifica conclusiva di un nesso causale diretto. Malattia da Protesi (Breast Implant Illness – BII): insieme di sintomi, che includono dolore, affaticamento, disturbi reumatici e neurologici, attribuiti alla presenza di protesi mammarie. Molti di questi sintomi sono simili a quelli delle malattie autoimmuni. Sindrome ASIA: è una sindrome immunologicamente mediata, autoimmune, che può manifestarsi con artrite, atralgie, affaticamento, lesioni cutanee e malessere, che viene correlata alla possibile esposizione ad adiuvanti, sostanze estranee come quelle presenti nei vaccini, come silicone degli impianti mammari o come altri materiali (acrilammidi e metacrilati).Solitamente l’insorgenza di tali rare patologie autoimmuni è tardiva, a partire generalmente dai 6-7 anni dall’impianto, in tali situazioni clinicamente diagnosticate può rendersi necessaria la rimozione delle protesi mammarie nel tentativo di migliorare la sintomatologia. Va ricordato- sottolinea il prof. Candiani- che il Linfoma anaplastico a grandi cellule ALCL: è una rara forma di linfoma non-Hodgkin (NHL) che può trarre origina dalla capsula peri-protesica, cioè dai tessuti circostanti la protesi impiantata, è stato correlato dal 2019 alle vecchie protesi mammarie “macrotersturizzate”, attualmente non più utilizzate. Rimane aperto il confronto scientifico su tale argomento, ma a fronte di milioni di protesi impiantate, il numero di casi di ALCL in donne portatrici di protesi mammarie resta estremamente basso e non offre dati statisticamente significativi che possano mettere in correlazione la presenza dell’impianto con l’insorgenza di questa patologia.
Solo le pazienti portatrici di protesi mammarie che presentino un sieroma freddo importante tardivo (quindi ad almeno un anno di distanza dall’intervento chirurgico di impianto) devono rivolgersi prontamente allo specialista per le indagini del caso. Non vi è alcuna indicazione invece al richiamo sistematico delle pazienti con protesi già impiantate. È fondamentale consultare un medico se si sospettano problemi, come gonfiore, dolore persistente o sintomi sistemici dopo il posizionamento delle protesi mammarie.