Non arrivano conferme, almeno dalla visione delle telecamere di videosorveglianza, del presunto stupro di gruppo che una detenuta trans 45enne di nazionalità italiana aveva denunciato di essere stata costretta a subire all’interno di una cella del carcere di via Arginone. A riferirlo è Carlo Nordio, ministro della Giustizia, rispondendo in forma scritta a una serie di interrogazioni parlamentari presentate sull’accaduto da Movimento Cinque Stelle, Azione, Partito Democratico e Alleanza Verdi-Sinistra Italiana.
Lo stupro sarebbe avvenuto a metà giugno in una cella, da parte di quattro detenuti italiani. I fatti sarebbero successi all’interno della sezione Protetti. Dopo quell’episodio, secondo una prima ricostruzione, la 45enne era andata in infermeria a denunciare quanto accaduto e subito erano state attivate le procedure necessarie, tra cui il trasferimento al pronto soccorso. I quattro, tutti di nazionalità italiana, pare abbiano approfittato di un momento in cui le celle sono lasciate aperte per consentire socialità tra i detenuti per invitarla a prendere un caffè. Un inganno per poter successivamente abusare di lei.
Sull’episodio la Procura di Ferrara ha aperto un fascicolo per stupro di gruppo contro ignoti, ancora in fase di indagini preliminari, mentre la casa circondariale aveva aperto un’indagine interna.
La vicenda aveva sollevato numerose polemiche, soprattutto perché – a causa di “problematiche” che ne avevano “via via reso incompatibile la sua permanenza” – la presunta vittima era stata trasferita nel carcere di Ferrara, che non è dotato di sezioni per persone transessuali, dopo un periodo in una sezione transex del carcere di Reggio Emilia. Nonostante la sua transessualità dichiarata però, ha sottolineato Nordio, “chiedeva di essere chiamato al maschile, ed evidenziava sempre di più caratteristiche fisiche e comportamentali che non apparivano compatibili con una identità transgender“.
Sul punto, Nordio ha citato la relazione redatta dalla direttrice della casa circondariale di Reggio Emilia, con la quale si chiedeva il trasferimento presso altro istituto idoneo, in cui veniva scritto che “la disforia di genere di cui sarebbe affetto non incide sull’identità sessuale ma sul suo orientamento sessuale, quindi non può ritenersi a rigore sussistente una diagnosi di transessualità, derivando che lo stesso detenuto, come più volte dimostrato anche nelle precedenti detenzioni, strumentalizzi la sezione transessuali simulando la disforia di genere al solo scopo di poter godere di prestazioni sessuali da parte di detenuti transgender, segnalando, altresì, che l’atteggiamento aveva determinato nelle altre detenute transex una situazione di paura, sconforto, ansia e scompensi psicologici”.
Per questo motivo, lo scorso 7 aprile, il Provveditorato competente aveva trasferito la presunta vittima nella casa circondariale di Ferrara, seppur fosse un istituto non dotato di sezione transessuali, “poiché – ha spiegato Nordio – la certificazione redatta dai sanitari degli istituti penitenziari di Reggio Emilia evidenziava che presentava caratteri sessuali maschili, senza segni di interventi chirurgici o protesici, non aveva mai assunto terapia ormonale specifica per la transizione di genere e anche sotto l’aspetto psicologico non si rilevavano elementi compatibili con tale percorso in atto. Si riteneva, pertanto, opportuno valutarne il trasferimento in una struttura penitenziaria idonea alle caratteristiche del paziente” come poteva essere quella di via Arginone
La situazione però sarebbe cambiata all’indomani della presunta violenza in carcere. Lo scorso 1° luglio infatti, a seguito di una visita con la detenuta, lo specialista di psichiatria le aveva diagnosticato la presenza di disforia di genere, evidenziando che la presunta vittima le aveva “espresso la volontà di riprendere la cura ormonale per la transizione di genere, precedentemente interrotta”. Pertanto, alla luce di queste emergenze, oltre che delle problematiche di incolumità con il carcere di Ferrara, il Provveditore dell’Emilia-Romagna, il 2 luglio, aveva chiesto alla Direzione generale dei detenuti e del trattamento il trasferimento in un istituto con sezione transgender. Così, il 3 luglio, la Direzione generale ne aveva disposto il trasferimento presso la casa circondariale di Belluno, dotata di sezione per transex.
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