di Michele Farinelli*
In Irlanda hanno fatto una scelta coraggiosa — e intelligente —: hanno deciso che la cultura è lavoro vero. Dal 2026, con il programma “Basic Income for the Arts”, lo Stato garantirà 325 euro a settimana a oltre duemila artisti, musicisti e creativi.
Una misura che non regala nulla, ma restituisce — finalmente — dignità a chi produce valore culturale ed economico. È un segnale forte, chiaro, concreto. Un Paese moderno si riconosce anche da questo: da come tratta i propri artisti, da quanto crede in chi tiene in piedi teatri, festival, musica, cinema, arti visive.
Un investimento del genere non è una spesa, ma un moltiplicatore : crea occupazione, genera turismo, muove economia.
E allora la domanda è inevitabile: perché non cominciare a ragionare anche noi, in Italia, su strumenti simili? Per troppo tempo la cultura è stata usata come tappabuchi stagionale, buona solo per riempire i calendari estivi o per fare vetrina. Ma non come una vera politica industriale.
Eppure — ne sono convinto — è un settore produttivo a tutti gli effetti, con lavoratori veri, professionalità reali, filiere economiche solide. Persone che chiedono solo una cosa: poter vivere del proprio talento, senza dover emigrare o arrendersi.
Da Comacchio, sì, proprio da qui, può partire un segnale nuovo, un laboratorio di futuro. Abbiamo un patrimonio naturale e urbano straordinario, luoghi che sembrano nati per ospitare mostre, laboratori, residenze artistiche, percorsi di formazione. Abbiamo giovani talenti, musicisti, illustratori, fotografi, artisti di strada… ma anche — e non dobbiamo nasconderlo — troppa precarietà, troppa burocrazia, troppi spazi inutilizzati. Serve un cambio di passo, una visione. Non bastano più i contributi occasionali: serve un vero ecosistema culturale, che faccia della creatività una parte strutturale dell’economia locale.
Io penso, ad esempio, a un “reddito di base comunale per la cultura”, anche sperimentale, sostenuto da fondi europei o dalla Regione Emilia-Romagna, per garantire continuità e dignità al lavoro creativo. Penso a bandi mirati per artisti residenti, a incentivi per chi rigenera edifici abbandonati trasformandoli in studi o laboratori, a residenze artistiche che attirino creativi da tutta Italia — magari anche dall’estero. Perché Comacchio — e lo dico senza alcuna retorica — ha davvero tutto per diventare la piccola capitale dell’arte nel Parco Delta del Po – Emilia-Romagna. E da qui trascinare un intero territorio: la provincia di Ferrara, i comuni costieri, quelli
dell’entroterra.
Serve un “fil rouge” culturale che unisca natura, storia e bellezza in un racconto comune, dove il Parco del Delta diventa non solo cornice naturale, ma simbolo di rinascita. Immaginiamo — e non è un sogno, ma una direzione possibile — una rete territoriale coordinata: musei, scuole, teatri, spazi pubblici e privati, fondazioni, associazioni, operatori culturali.
Una vera “rete ferrarese della creatività” con Comacchio capofila, capace di valorizzare il talento e la bellezza dei nostri luoghi, generando lavoro, turismo e identità. Un modello aperto, cooperativo, dove pubblico e privato si parlano, si aiutano, costruiscono insieme.
Perché la cultura, se la si tratta come sistema, produce valore per tutti. Ogni euro speso in cultura genera ricchezza — reale, misurabile — e insieme coesione sociale. La cultura non è un costo, ma un moltiplicatore di comunità: crea appartenenza, educa alla cura, fa crescere le persone e i luoghi. È turismo di qualità, è ritorno economico, ma è anche — e forse soprattutto — dignità collettiva.
Ecco perché serve una strategia chiara e di lungo periodo. Una strategia che riconosca il lavoro artistico come parte integrante dell’economia locale, che offra opportunità concrete a chi vuole restare e creare qui, che valorizzi ogni spazio — dal centro storico alle valli — come luogo di produzione culturale. Il modello irlandese ci mostra che le idee giuste funzionano quando c’è la volontà politica di sostenerle.
E la volontà politica, se parte dai territori, può cambiare molto più di quanto si pensi. Comacchio può davvero diventare il motore di un nuovo Rinascimento ferrarese: un laboratorio aperto dove arte, natura e comunità si incontrano per costruire futuro. Perché chi investe in cultura non spende, ma semina bellezza e crea lavoro.
E da quella bellezza — ne sono certo — può nascere una nuova economia, più giusta, più sostenibile, più nostra.
*Segretario Partito Democratico Comacchio