Provo molto affetto per Liliana Segre, nostra concittadina onoraria, ma la sua ripulsa per l’espressione “gite ad Auschwitz”, pur comprensibilissima (e da me condivisa) è entrata, ahimè, in molti ambiti scolastici e turistici.
In parole semplici, capisco l’indignazione ma non lo stupore.
Ho effettuato una piccola ricerca su Internet e ho rilevato che varie agenzie di viaggio propongono una gita in Polonia e ad Auschwitz. Alcune usano il termine “gita”, altre il termine “escursione”, altre ancora parlano di “tour”, ma alla fine, come recita un antico adagio, se non è zuppa è pan bagnato.
Anche nei siti di alcuni istituti d’istruzione si parla di “gite scolastiche” ad Auschwitz…
E pure Veltroni, nel 2019, parlò di “gita all’inferno”.
A me dispiace, ma purtroppo questa è la realtà. Possiamo contrastare e censurare l’uso di un termine inappropriato, ma è inutile meravigliarsi di un uso scorretto della lingua che ormai è molto difficile da contenere.
Paola Ferrari