“E dopo ben vent’anni caro Federico mi è toccato imparare anche questo”. Inizia con queste parole Lino Aldrovandi nel commentare la lettera arrivata a Michele Dalai e pubblicata sulle sue pagine social.
Quello che tocca imparare al padre di “Aldro” è ciò che alcune persone, che si firmano come residenti della zona di via Bologna e via Ippodromo, hanno scritto all’auotore del libro “Aldro, storia di un orrore perbene”. Edito da Compagnia Editoriale Aliberti e presentato a Ferrara durante le celebrazioni per il ventennale dell’omicidio del giovane ferrarese.
Un libro, ricorda Lino, “che parla di te e di tanti personaggi di questa storia sempre più assurda e inqualificabile”.
Nelle lettera viene criticato il contenuto dell’opera e lo stesso Dalai, che – nel libro – ricostruisce i vari aspetti della vicenda, tra cui l’omertà di chi quella notte avrebbe visto e sentito quanto accaduto, senza però mai denunciarlo.
“Dai ancora fastidio – scrive Lino – quando ormai il mondo, istituzioni comprese, hanno capito ‘quasi tutto’ di quello che accadde quella mattina. Pensavo che bastasse per darti pace, ma purtroppo vedo che non è così”.
“Certi individui (ammesso che sia una cosa reale) – prosegue – continuano a vivere in una loro dimensione ‘irreale’ e non meriterebbero nemmeno un accenno”.
“Dico solo – conclude – che se fossero veri in carne e ossa e provassero ad ascoltare e non ‘sentire’, queste due testimonianze, delle tantissime che esistono, soprattutto quelle dei giudici e di un vero questore, sulla tua triste storia Federico, magari avvicinandosi ad uno specchio alla fine del loro ascolto, guardando la loro immagine, forse troverebbero anche la forza di sporcarlo”.