Eventi e cultura
6 Ottobre 2025
Una mostra fotografica diffusa nel quartiere Giardino durante le due settimane del festival Generazione Ambiente Danza. Intervista agli ideatori

“Brisa far cla faza”. Ritratti “acciuffati” in Gad

di Pietro Perelli | 4 min

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Oggi inizia nel quartiere Giardino, con base al Consorzio Factory Grisù, il festival Gad. Generazione, Ambiente, Danza. Due settimane, dal 6 al 19 ottobre, di teatro, danza, musica, proiezioni, cucina e parola che mettono al centro la relazione tra l’essere umano e i suoi ecosistemi – naturali, culturali e sociali.

Diffusa come il festival è anche la mostra fotografica Brisa far cla faza ideata e realizzata dal fotografo Daniele Mantovani e Marco Luciano dell’associazione Carpa che ha ideato l’evento. A loro abbiamo fatto alcune domande per raccontare i ritratti realizzati e messi in mostra per le strade del quartiere.

Partiamo dal titolo: “Brisa far cla faza”. Avete scelto il dialetto locale per una mostra fotografica che ritrae volti di una delle zone più multiculturali della città. Cosa vi ha spinto a questa scelta?
Marco Luciano: Il quartiere Giardino è estremamente cambiato negli ultimi anni. Dal 2018 vivo nella torre A dei grattacieli e ho potuto osservare da vicino questa trasformazione. In questo processo che personalmente percepisco come interessante esempio di collaborazione tra pubblico e privato, tra istituzione, associazionismo e cittadini, credo si incarnino tensioni differenti, difficili da leggere in maniera univoca: da un lato una politica sociale e culturale che ha saputo essere incisiva, dall’altro una comunità stanca di essere stigmatizzata. Una comunità multietnica, giovane che costruisce la propria felicità lavorando e studiando. E’ indubbio che la zona sia animata ancora da complessità, come d’altra parte tantissimi dei quartieri italiani a ridosso delle stazioni ferroviarie, e forse anche per questo persiste un certo pregiudizio in città nei confronti di questo quartiere, il ché è evidente se si guarda il mercato immobiliare ad esempio. “Briza far cla faza” è dunque un invito a cominciare a guardare il quartiere con occhi nuovi e il dialetto ferrarese, che accompagna sguardi ed espressioni provenienti da luoghi, culture e condizioni sociali, ci è sembrato essere funzionale ad una sintesi perfetta per l’intento della mostra: lottare contro il pregiudizio con i sorrisi.

Chi sono le persone ritratte? C’è chi ci vive e chi ci lavora, ci sono anche persone di passaggio? Già conoscevate le persone che avete coinvolto? Avete scoperto cose nuove di loro o, nel caso, nuove storie?
Marco Luciano: Non è stato semplice acciuffare questi ritratti. Abbiamo parlato molto con le persone, raccontato l’idea, spiegato l’intento. Molti hanno accettato di farsi fotografare, altri no. Alcuni degli abitanti e dei commercianti ci hanno dato un grande aiuto nell’invogliare gli altri e nel diffondere l’iniziativa. E’ stata una sorta di residenza artistica en plein air durata 10 giorni. Con l’idea di dipingere un paesaggio, Daniele ha fotografato persone che correvano a prendere il treno, lavoratori, altri che portavano a spasso il cane, bambini che giocavano nel parco, abitanti e non. In questi dieci giorni abbiamo avuto modo di approfondire alcune conoscenze, di scoprire aspetti sorprendenti come la grande solidarietà tra gli abitanti, di respirare con più attenzione e maggior tempo a disposizione i ritmi e i cambi di atmosfera che questa zona offre voltando un angolo, affacciandosi da una finestra. Un luogo di passaggio frenetico in certi momenti della giornata, ma nel quale molte persone, famiglie, stanno costruendo la propria viva identità.

Si tratta di un lavoro ideato a più menti che interseca due arti diverse. Come avete lavorato?
Daniele Mantovani: Una volta definito il tema e lo scopo dei ritratti ho scelto un approccio tecnico uniforme: luce morbida, taglio stretto, viso frontale. Ho evitato contrasti forti o pose ricercate perché non volevo che lo stile distraesse; l’intento era dare allo spettatore la possibilità di concentrarsi sulle persone, sulla loro umanità, sul significato del quartiere.

È cambiato il vostro modo di vedere il quartiere dopo questo lavoro?
Daniele Mantovani: Si, è cambiato. Pur essendo nato e vivendo a Ferrara non avevo mai approfondito davvero la vita quotidiana di questo quartiere. Mi ha colpito la sua vivacità, il flusso continuo di pendolari, turisti, abitanti, in un luogo che nel mio immaginario avevo sempre considerato soltanto degradato.

Avete pensato a come può cambiare il modo di vedere il Gad a chi sceglie di vedere i pannelli a uno a uno o anche a chi li incrocia passeggiando lungo la strada?
Daniele Spero induca la curiosità di guardarlo megli, di visitarlo, farci la spesa, viverlo di più. Come è capitato a me.

Come si inserisce la mostra all’interno del programma del Festival Gad, Generazione Ambiente Danza?
Pensiamo al festival G.A.D. come ad un progetto triennale. Per questa prima edizione abbiamo declinato l’acronimo con Generazione Ambiente e Danza. La mostra diffusa credo rispecchi con grande efficacia comunicativa tutti e tre i temi. Le foto ritraggono persone di differenti età e provenienze, dai 10 agli 80 anni. Ritraggono in pratica l’ambiente che queste persone creano. Leghiamo spesso il termine ambiente all’ecologia intesa esclusivamente come cura della natura, come qualcosa di esterno da noi, dimenticando che “ecologia” viene dal greco “oikos” che significa casa, e da logos che significa studio, discorso, e questa mostra, così come molti altri dei momenti artistici e culturali in programma nel festival vogliono stimolare una riflessione proprio su questo, aver cura della nostra casa, dal pianeta, al quartiere, al vicino di casa, al corpo, al linguaggio.

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