Cosa c’è dietro alla crisi che sta mettendo in ginocchio Telestense, la storica emittente televisiva di Ferrara? A raccontarlo è Dalia Bighinati, ex coordinatrice di redazione e direttrice del Tg, per anni anche componente del Consiglio di amministrazione dell’azienda guidata dal fratello Flavio Bighinati.
Secondo Dalia, le radici della crisi affondano nel 2012, con l’avvento del digitale terrestre, che ha imposto a Telestense – come a molte altre tv locali – un profondo riassetto tecnologico e commerciale. L’esplosione del numero di canali ha ridotto la visibilità delle emittenti generaliste, mentre il mercato pubblicitario si è frammentato, rendendo indispensabili i contributi pubblici all’editoria.
Tra il 2016 e il 2018, spiega Bighinati, Telestense ha attraversato la sua prima grande crisi. Solo il ripristino delle graduatorie per le tv private – stabilito da un decreto del Presidente della Repubblica nel 2017 – ha permesso di accedere nuovamente ai fondi statali, offrendo una boccata d’ossigeno all’emittente.
“Con il bando del 2018 – ricorda Dalia – Telestense si posizionò bene, e questo consentì una ripresa, seppur accompagnata da uno snellimento del personale. Alcuni tecnici e giornalisti lasciarono la redazione, ma l’azienda riuscì a riproporsi sul mercato pubblicitario locale e a ritrovare equilibrio”.
La stabilità, tuttavia, durò poco. Con la pandemia da Covid, tutto si fermò, e anche per le tv locali iniziò una nuova fase di incertezza. “Per chi si occupava di informazione sanitaria – spiega Bighinati – furono previsti contributi straordinari, ma con criteri che penalizzarono fortemente le emittenti più piccole”. Il bando del periodo pandemico assegnava infatti il 95% delle risorse alle prime 100 tv della graduatoria nazionale, lasciando alle restanti 40 solo il 5%. Una disparità che portò Telestense e altre emittenti a presentare ricorso contro lo Stato, denunciando una violazione del principio di libera concorrenza. La battaglia legale, però, si è chiusa nel 2025 con la sentenza della Corte Costituzionale, che ha dato torto alle ricorrenti. “Quella decisione – commenta Bighinati – è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso”.
Negli ultimi anni, la famiglia Bighinati ha cercato di trovare nuovi capitali o di coinvolgere investitori privati, ma senza risultati concreti. “Chi comprerebbe un’azienda senza certezze di ritorno economico in un settore così instabile?”, osserva Dalia. In un contesto regionale segnato da 50 tavoli di crisi, 34 milioni di ore di cassa integrazione e 10mila lavoratori coinvolti, Telestense non è che una delle tante realtà colpite dalla transizione tecnologica e dalla scarsità di risorse. “Servono capitali per investire – sottolinea – e formazione per acquisire le nuove competenze digitali”.
Una speranza era arrivata alla fine del 2024 dal figlio di Flavio, che stava organizzando una rete di possibili investitori per salvare l’emittente. Ma un grave incidente stradale ha interrotto quel lavoro, oggi in parte ripreso dal padre. “Mio fratello – dice Dalia – sta cercando di ricostruire quel progetto. Mi auguro che possa avere successo, perché Telestense merita di rimanere accesa”.
Al di là dei bilanci e delle difficoltà, Dalia Bighinati tiene a ricordare l’anima della redazione: “Telestense è sempre stata come una grande famiglia. C’era un forte spirito di gruppo, anche se non sempre le competenze tecniche erano al top. Ma giornalisti e tecnici hanno sempre dato tutto, con passione e dedizione”.
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