Attualità
4 Ottobre 2025
A Internazionale si parla di una guerra che ha già causato 150mila morti diretti e 500mila indiretti oltre a 12 milioni di profughi e cinque zone del paese in carestia

Sudan, un conflitto trascurato

di Redazione | 3 min

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Un conflitto trascurato dall’attenzione mediatica, quello che in Sudan è scoppiato il 15 aprile 2023, e che – numeri alla mano – si sta configurando come una tragedia umanitaria da 150 mila morti diretti (e 500 mila indiretti), 12 milioni di profughi e cinque zone del paese interessate dalla carestia.

“Dimenticati”, il titolo dell’incontro che ieri – 3 ottobre, al cinema Apollo – ha restituito centralità alla questione, nella cornice di Internazionale a Ferrara 2025. A discuterne sono stati Vittorio Oppizzi (direttore dei programmi di Medici senza frontiere in Sudan) e Irene Panozzo (già consigliera politica di diversi Rappresentanti Speciali UE per il Corno d’Africa), con la moderazione di Francesca Sibani (giornalista di Internazionale, specializzata in geopolitica del continente africano).

Non è stato possibile, invece, per la giornalista Francesca Mannocchi, prendere parte al panel. Il dibattito comunque è stato introdotto dalla proiezione del suo documentario realizzato – insieme al fotoreporter Alessio Romenzi – nella città di Adrè, al confine tra Ciad e Sudan, nel maggio di quest’anno, da cui emerge la sofferenza dei civili, costretti a subire aggressioni, stupri e umiliazioni in maniera sistematica.

Le condizioni atroci in cui versa il Paese e la popolazione sono state denunciate da Oppizzi che ha parlato di “un conflitto che ha una base etnica nell’est del Darfur, che si rifà al genocidio dei primi anni 2000”. Il lavoratore umanitario ha proseguito dichiarando che le emergenze in corso sono molteplici: “Da tre anni molte zone sono senza vaccinazioni, una situazione che oggi ha dato vita a un’epidemia di dengue a Khartum (la capitale, ndr) e a un’altra di colera”. Per quanto riguarda la violazione del diritto umanitario internazionale “sta avvenendo dal primo giorno, da parte di tutti gli attori in campo”.

Le origini del conflitto risalgono al 2023, quando è scoppiata la guerra fra le due forze militari che – nel 2021 – avevano cooperato per realizzare il colpo di stato ai danni del governo di transizione (a partecipazione anche civile) allora in carica. Oggi si tratta dunque della contrapposizione fra l’esercito nazionale e il gruppo paramilitare delle Forze di Supporto Rapido, “ma ci sono – ha commentato Panozzo – una miriade di attori armati: milizie, gruppi tribali e gruppi di difesa, da una parte e dall’altra. Inevitabilmente, ciò rende ancora più difficile trovare una soluzione”.

Parlando di scenari imminenti, il primo comunicato congiunto firmato – dall’inizio della guerra – anche da Egitto e Emirati Arabi (insieme a Stati Uniti, e Arabia Saudita), pochi giorni fa, è stato accolto con misurato ottimismo da Panozzo. Che ha evidenziato: “Dal documento scaturiscono una serie di deadline per arrivare alla cessazione delle ostilità. È interessante il fatto che Egitto abbia accettato di parlare di uno scenario in cui il potere politico dovrà ritornare nelle mani dei civili”.

Per la consigliera politica, infatti, la priorità sarebbe riconoscere un posto al tavolo negoziale di risoluzione del conflitto alla forza civile rappresentata dall’ex primo ministro della transizione democratica del 2019, Abdalla Hamdok. “Questi attivisti non vogliono sentir parlare di una divisione del Paese. L’idea di risolvere la guerra con una divisione non è realistica e non risponde nemmeno ai desideri della popolazione”.

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