“Quando si affama una popolazione il rischio di arrivare all’indicibile esiste. Vederlo fare da Israele è straziante. Però l’uso del termine “genocidio” è compiaciuto. L’insistenza a imporlo a tutti, in primis agli ebrei, è morbosa”.
Così si è espressa in una recente intervista (2 agosto) la senatrice a vita Liliana Segre, cittadina onoraria di Ferrara.
Vorrei che tutti riflettessero sulle sue parole – da ultimo Anna Chiappini, che ha parlato di “genocidio” dei palestinesi in un suo recente intervento – e facessero attenzione prima di utilizzare un termine, caro ai nazisti, che si presta facilmente alla propaganda e spesso è utile a chi cela dietro un antisionismo di facciata (discutibile ma lecito) un antisemitismo di fondo che, purtroppo, riemerge qua e là sotto false sembianze.
Aggiungo che anche il termine “sionista” viene usato in modo offensivo, come se il sionismo, che si riproponeva di riportare gli ebrei nella terra d’origine, fosse un movimento criminale al pari del nazismo o del fascismo.
No all’antisemitismo – affermò Giorgio Napolitano nel 2007 – «anche quando esso si travesta da antisionismo». Così si espresse l’allora Presidente della Repubblica nel corso delle celebrazioni della Giornata della Memoria del 2007. «Antisionismo, precisò, «significa negazione della fonte ispiratrice dello stato ebraico». L’antisionismo, aggiunse poi parlando di fronte a Prodi, Marini, Bertinotti e Veltroni, nega «le ragioni della nascita, ieri, e della sicurezza, oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele».
Certo, i tempi sono cambiati, ma vorrei che tutti, prima di parlare – spesso a sproposito – riflettessero sulle autorevoli parole di Liliana Segre e di Giorgio Napolitano.
Marta Soavi
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Gentile lettrice,
il termine “genocidio” è tutto ed è stato tutto fuorché caro ai nazisti, come sostiene. Tutt’altro.
La Germania nazista fece l’impossibile per nascondere il genocidio in atto e, in fin di guerra, cercò di distruggere tutti i documenti che potevano aiutare a ricostruire l’Olocausto del popolo ebraico. Un esempio potrà essere utile: per indicare le fucilazioni indiscriminate venivano utilizzato il termine “trattamento speciale”.
Quanto alla definizione del termine, non è questione di imporlo o meno. È questione di diritto internazionale: l’articolo II della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, scritta nel 1948, offre la codificazione di genocidio, anche ai fini della punibilità dello stesso.
“Per genocidio – si legge – si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro”.
Nel caso odierno mi pare manchi solo l’ultimo tassello. I fanciulli vengono ammazzati o muoiono di stenti.
mz