Venti anni fa, alle ore 6,04, in via Ippodromo, il cuore di Federico Aldrovandi cessava di battere. In questi venti anni sono state dette e scritte alcune cose preziose, molte altre meno preziose, altre ancora inutili o dannose.
Nel primo gruppo faccio rientrare l’appello lanciato in questi giorni da Marcello Corvino, direttore artistico del Teatro Comunale di Ferrara.
Corvino è stato il produttore di “È stato morto un ragazzo”, il docufilm di Filippo Vendemmiati che ritrae la storia di Federico e che oggi verrà riproposto a distanza di anni nel cinema Apollo.
In sede di presentazione in Municipio delle iniziative per il ventennale dell’omicidio di Via Ippodromo, Corvino ha invitato pubblicamente i quattro agenti responsabili dell’omicidio colposo di Federico a chiedere scusa. “Siete ancora in tempo – queste le sue parole -. Non è un atto di debolezza. Solo uomini e donne con la maiuscola sanno farlo. Lo devono alla famiglia, agli amici e alla città di Ferrara”.
Quell’appello – abilmente scomparso nei comunicati ufficiali del Comune – pare non abbia suscitato scalpore.
Per questo vorrei riprenderlo e riproporlo su queste pagine. Siete ancora in tempo per chiedere scusa. Non è detto che possa arrivare il perdono da chi vent’anni fa si è visto strappato un pezzo di vita, ma sarebbe un segno di pentimento.
Pentimento che, sottolineava il giudice, mai si è visto sui loro volti o nelle loro azioni. Anzi, uno di loro, all’uscita del tribunale dopo la condanna di primo grado, il 6 luglio 2009, affermò che “posso dire che stasera giustizia non è stata fatta. E posso anche dire che io la notte dormo sonni tranquilli, qualcun altro non lo so”.
Un secondo, su facebook, addirittura insultò la madre: “Che faccia da culo che aveva sul tg… una falsa e ipocrita… spero che i soldi che ha avuto ingiustamente (il risarcimento da parte dello Stato, ndr) possa non goderseli come vorrebbe… adesso non sto più zitto dico quello che penso e scarico la rabbia di sette anni di ingiustizie”.
In tanti dobbiamo delle scuse a questa famiglia. Io e i colleghi della cronaca locale per esserci accorti troppo tardi di quello che era realmente accaduto. La morte di Federico divenne il Caso Aldrovandi solo dopo l’apertura del blog da parte di Patrizia Moretti e dopo che Checchino Antonini su Liberazione e Cinzia Gubbini su Il Manifesto fecero sapere fuori dalle mura estensi come era morto un ragazzo di 18 anni. A contattarli fu Elisa Corridoni, allora esponente di Rifondazione comunista.
C’è poi quella parte di istituzioni che ha depistato, che ha infangato, che ha ucciso una seconda volta Federico nella vana speranza di conservare la perenne impunità dei crimini in divisa.
C’è quella parte di città che ha continuato a credere – e crede tuttora – che quel ragazzo con 54 lesioni e due manganelli rotti sul corpo alla fine se la sia cercata.
Ci sono i cittadini di via Ippodromo che abitavano la “zona del silenzio”. Perché Anne Marie Tsegue non fu l’unica testimone oculare. Fu l’unica testimone oculare che ebbe il coraggio di parlare.
In tanti, così come quei quattro agenti di Polizia, dobbiamo delle scuse a Lino Aldrovandi e a Patrizia Moretti. Ma loro più di tutti.
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