Oggi Ferrara si è fermata per la Palestina. Oltre mille persone hanno invaso le strade cittadine rispondendo allo sciopero nazionale indetto dall’Unione sindacale di base: “Bloccare tutto per spezzare l’economia del genocidio“, questo è l’obiettivo che ha portato migliaia di lavoratori, operatori sanitari, insegnanti, operai e studenti a scendere in piazza in oltre settanta città dal nord al sud Italia. Quella del 22 settembre rientra tra le mobilitazioni più partecipate nella storia recente della città. Il paragone immediato, come ricorda Girolamo De Michele, è con la grande manifestazione di venti anni fa per Federico Aldrovandi, “segno di una Ferrara che non si gira dall’altra parte di fronte alle ingiustizie”.
Il fiume umano è partito dalla stazione e ha attraversato la città fino a riempire piazza Municipale, salendo sullo scalone del Comune in segno di protesta. A guidare il corteo c’erano i militanti di Ferrara per la Palestina che non hanno risparmiato dure critiche all’amministrazione. Tra questi, il medico Francesco Ganzaroli ha descritto la drammatica situazione in cui devono lavorare gli operatori sanitari negli ospedali di Gaza: “Il fatto che il sindaco Alan Fabbri e la giunta non si facciano problemi a stringere la mano all’ambasciatore israeliano Jonathan Peled è una vergogna“.
“Quando si tratta di genocidio, non è questione di mettersi la medaglietta al petto per chi ha fatto il primo sciopero – dichiara Antonio Ferrucci dell’Usb con un chiaro riferimento a quello indetto da Cgil venerdì 19 settembre -. Le città ormai sono attraversate da un’ondata di indignazione che oggi prende forma di uno sciopero generale. Non è una questione di buonismo, ma questo rappresenta uno stato di guerra permanente al quale ci opponiamo tutti noi lavoratori e lavoratrici. Ci coinvolge anche con la questione del riarmo, con la spesa del 5% del Pil per armamenti che per noi significa impoverimento, taglio alle spese sociali, all’educazione, alla sanità“.
A Ferrucci fanno eco due insegnanti della scuola pubblica. Una di queste contesta la riforma degli istituti tecnici, definendola “una porcheria, costruita per offrire al mercato cittadini sempre meno competenti e sempre più precari”. La scuola, aggiunge, “non deve accorciare i tempi di studio ma allungarli, aumentando il numero dei docenti, non sostituendoli con figure esterne controllate dalle imprese”.
Poi Silvia, un’altra insegnante, rivendica il diritto e il dovere di discutere anche in classe di Palestina: “Se mi chiedete se parleremo di genocidio a scuola, io rispondo di sì. Lo faremo in ogni materia, dai libri di geografia a quelli di scienze. Lo faremo perché ce lo chiede la Costituzione, perché l’Italia ripudia la guerra. E se dovremo fermare le lezioni per parlarne, lo faremo”.
In camice bianco e stetoscopio anche i Sanitari per Gaza lungo il corteo. Silvia Bortolazzi, medico rianimatore, spiega che “avulsi da qualsiasi sindacato e partito, ogni manifestazione per la Palestina che ricalca i nostri principi noi la sosteniamo, oltre ad organizzarne anche di nostre”. Presenti anche diversi esercenti di attività del centro storico che hanno scelto di aderire allo sciopero e sostenere la condanna al genocidio, tra cui Wildflowers, Spazio Aperto, Sfuso per Natura, Vintage Tattoo Shop e Newton Store.
Poi la voce di Adam Sami, portavoce di Ferrara per la Palestina: “Il nostro popolo, nonostante la fame e le bombe, continua a resistere da solo contro tutto il mondo”. E attacca: “Mentre molti Paesi europei hanno riconosciuto la Palestina, l’Italia ancora non l’ha fatto. Questo governo non ci rappresenta, perché sono e resteranno servi del sionismo”. Poi, rivolto verso le stanze del Municipio: “La prossima volta saremo il doppio e entriamo qua dentro a prenderli di peso”
Si aggiungono le accuse da parte del collettivo Ferrara Transfemminista: “La nostra rabbia brucia con quella delle sorelle e delle persone queer palestinesi, ridotte al silenzio dalla propaganda”. Le attiviste parlano di corpi “privati di dignità, cibo, cure e possibilità di esistere”, denunciando “un sistema che usa la fame e la violenza sessuale come strumenti di dominio”.