Attualità
21 Settembre 2025
Alla Festa dell'Unità di Ferrara, il teologo Piero Stefani ripercorre le radici del sionismo affermando che "è il problema nazionale ebraico"

“Criticare Israele non è antisemitismo”

Piero Stefani
di Elena Coatti | 3 min

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“Il sionismo è definibile in molti modi, però possiamo dirlo con una battuta: è il problema nazionale ebraico. E gli europei non possono chiamarsi fuori da questa realtà”. Così il teologo Piero Stefani, studioso esperto dei rapporti tra ebraismo, cristianesimo e islam, ha aperto la sua riflessione durante l’incontro di ieri sera (19 settembre) alla Festa dell’Unità di Ferrara, rispondendo alla domanda posta dal direttore di Estense.com, Marco Zavagli: “Qual è la differenza tra antisemitismo e antisionismo?“.

Stefani ha ripercorso le radici storiche del sionismo, spiegando come dopo l’emancipazione ottocentesca agli ebrei fossero stati riconosciuti diritti civili come individui, ma non come popolo. “Tutto va riconosciuto agli ebrei come individui, nulla va riconosciuto a loro come popolo. Questo è un detto di Clemenceau nella Rivoluzione francese che poi è diventato uno slogan”, ha precisato.

Da qui l’elaborazione di una nuova categoria: l’appartenenza nazionale. Ma a differenza di altri movimenti europei, il principio nazionale ebraico non si traduceva nell’autogoverno della popolazione residente. “Il principio nazionale ebraico è totalmente diverso, perché doveva comportare non la residenza sul luogo in cui si trovava, ma il trasferimento della popolazione in altro luogo già abitato da altri“, ha spiegato.

Per legittimare questo processo, il sionismo ha fatto leva sull’idea del ritorno, trasformando un concetto religioso messianico in un progetto politico. Una dinamica che ha trovato riconoscimento internazionale nella Dichiarazione Balfour del 1917 e poi nella proclamazione dello Stato di Israele nel 1948. Tuttavia, ha sottolineato Stefani, quella logica ha comportato uno squilibrio originario: “Non è che non si sapesse che c’era un popolo in Palestina. Non era una terra senza popolo. Ma a quell’altro popolo non è stato considerato un diritto di nazionalità“.

Dopo aver ricostruito la genesi del sionismo, Stefani è arrivato al nodo centrale della domanda di Zavagli. “La dimensione dell’antisemitismo ha come oggetto le persone e le istituzioni ebraiche, ovunque si trovino. Non è antisemitismo criticare il governo di Israele, come puntualizza la definizione fornita dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (Ihra). Ma, sempre secondo l’Ihra, è antisemitismo contestare la legittimità dello Stato di Israele. Questo è il punto definitorio dove c’è il contatto tra antisemitismo e antisionismo”.

Per rendere più chiaro il contesto, il teologo è tornato anche agli eventi recenti. “Attorno al 7 ottobre, alcune delle definizioni che girano è quella di pogrom. Ma è una definizione sbagliata, che non aiuta a capire”, ha osservato, ricordando che i pogrom erano violenze di matrice religiosa e spontaneità sociale, mentre il 7 ottobre ha visto un’azione pianificata e la presa di ostaggi. “Nessun pogrom faceva ostaggi, non era in quella logica”, ha ribadito.

E qui il nodo con la natura stessa di Israele: “Uno degli scopi istituzionali di Israele è la difesa o l’autodifesa degli ebrei. La legge fondamentale del 2018, che definisce Israele casa ebraica, dice che la difesa degli ebrei – non soltanto degli israeliani – è compito istituzionale”.

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