Alla Festa dell’Unità, Pier Luigi Bersani non risparmia la stoccata al governo: “La Meloni si vanta quando parla di occupazione: 218mila posizioni di lavoro in più a luglio sull’anno precedente. Benissimo. Peccato che siano +408mila sopra i 50 anni e -190mila sotto”. Il messaggio è netto: “Questo governo tace i problemi e li copre con la propaganda”. Da qui la sua ricetta: una piattaforma sul lavoro (rappresentanza, salario minimo, parità salariale) e una sinistra “seria”, riconoscibile, con “l’orecchio a terra”.
A dialogare con lui Elena Rossi, sindaca di Ostellato, Giada Zerbini, segretaria Pd Ferrara, e Mirko Nistoro, della segreteria comunale, attorno al libro “Chiedimi chi erano i Beatles”. Di fronte al palco, una platea composta da centinaia di persone. Si parte parlando proprio dei giovani, tema centrale del suo libro. “Alla politica – ammonisce Bersani – dico basta paternalismi: ai giovani va detto che, al netto della violenza, ribellarsi è giusto. E noi la mano la diamo”.
Lo storico fondatore del Partito democratico entra nel cuore della sua tesi citando Marx: “Quando c’è un salto tecnologico cambiano i rapporti di produzione e le gerarchie sociali” e che, quindi, frantuma il lavoro “in verticale” (chi comanda l’algoritmo vs. i lavoratori ricattabili) e “in orizzontale” (precarietà, micro-contratti, semi-schiavismo). “Staccare il problema democratico da quello sociale è un’illusione: l’Italia resta una Repubblica fondata sul lavoro”. Da qui, l’elenco “concreto”: legge sulla rappresentanza e contrattazione dove i più rappresentativi valgono per tutti; disboscamento della precarietà “come hanno fatto gli spagnoli”, dice; parità salariale e formazione obbligatoria nei contratti; salario minimo, perché “se c’è l’equo compenso per il professionista, al lavoratore non spetterebbe?”.
E il governo? “Rifiuta di pronunciare i problemi. Prima che di destra e di sinistra, è un problema di serietà”. Poi Bersani torna a parlare dei giovani: “C’è una generazione che guarda a sinistra, che vede con lucidità i temi importanti come pace, clima, diritti, migrazioni ma non trova il carro su cui caricare le sue energie”. La risposta non è il “partito liquido”: “Serve un partito serio che si faccia rispettare, con regole chiare e discussione vera. E ai politici diciamo: non voltate le spalle ai giovani per guardare il partito; voltate le spalle al partito e andate dove sono i giovani”.
Sul piano storico-culturale Bersani mette in fila Gramsci e legge l’oggi come la fase scura della luna del progresso: internet e globalizzazione hanno promesso emancipazione, ma hanno prodotto isolamento e insicurezza. Proprio lì si è infilato il sovranismo: “Sta unendo i puntini. Nega il clima, moralizza lo Stato, restringe i diritti, invoca il capo che accentra tutto”. Per reagire servono idee chiare e strutture solide.
Giada Zerbini evidenzia un altro tema, ossia quello del linguaggio, su cui aggiunge che “anche a Ferrara ci siamo sentiti dire ‘noi non vi capiamo’”. Bersani risponde che “se conosci le cose, le parole giuste arrivano”. “Devi sapere quanto costa un chilo di pane, devi andarci al bar, al supermercato”, afferma. La metafora per Bersani non è un vezzo letterario ma “la figura retorica più democratica” perché “mette il fatto davanti agli occhi”. E riemerge nonna Cesira, la bracciante del Po che misurava l’abbondanza “da far l’orlo al Po”: è con il lessico della vita comune che la sinistra tornò a parlare a chi aveva poche parole ma molte cose. “Non facciamo un partito di spiegoni. Facciamone uno con due orecchioni così grossi”.
Sul finire, il racconto di un aneddoto e arriva l’identità: “Non mi offendo se mi chiamano un comunista italiano”. La folla applaude. Ma non è nostalgia, è richiesta di credibilità e robustezza, spiega Bersani. “La democrazia non vola da sola come gli angeli: consegna la merce solo se riattacchiamo il sociale alla politica. E il clou è la dignità del lavoro”.
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