Il Ferrara Buskers Festival ha chiuso la sua 38ª edizione con dati che certificano ancora la sua vitalità nel panorama culturale italiano ed europeo. Dal 27 al 31 agosto il cuore della città estense si è trasformato in palcoscenico per 259 artisti provenienti da 19 Paesi, con 370 ore di spettacolo, 36 laboratori e 25 talk. Le presenze ufficiali sono state circa 20mila (il 20% erano ferraresi), a cui si aggiungono oltre 5mila ingressi omaggio e un migliaio di accessi non autorizzati.
Numeri, snocciolati dagli organizzatori, che narrano di un evento capace di generare ricadute tangibili: 120 fornitori coinvolti, di cui il 69% ferraresi, un incremento delle presenze turistiche e una spinta diffusa a hotel, ristorazione e attività commerciali. Sui canali digitali, oltre 5,8 milioni di visualizzazioni social e 50mila visite al sito confermano un seguito internazionale.
Ma accanto alle cifre positive, l’edizione 2024 è stata anche quella delle polemiche: l’introduzione del biglietto d’ingresso e i disagi legati alla chiusura del centro hanno acceso un dibattito che va oltre la cronaca, toccando il rapporto tra la città e il suo festival.
Gli organizzatori non hanno nascosto la difficoltà di garantire la sopravvivenza dell’evento senza un nuovo modello di sostenibilità: “L’Associazione Ferrara Buskers Festival per molti anni ha utilizzato un fido bancario importante, costantemente in rosso. Questo tuttavia non può e non deve essere il livello di allerta che un organizzatore, pur senza fini di lucro, deve vivere ogni giorno”.
Il biglietto, definito dagli stessi “irrisorio, al confronto di quanto offerto in termini di performance e contenuti aggiuntivi”, ha permesso un parziale ripianamento delle perdite. Ma ha anche alimentato contestazioni: da chi percepisce l’arte di strada come intrinsecamente gratuita, a chi ha lamentato i costi aggiuntivi per famiglie numerose, fino ai commercianti penalizzati dalle chiusure.
Su quest’ultimo punto, il festival ha ricordato di aver posticipato le chiusure alle 19 e di aver collaborato con i ristoratori per garantire l’accesso ai clienti prenotati. Una soluzione, però, che non ha impedito l’emergere di malumori.
La tensione tra sostenibilità economica e natura “popolare” del festival mette a nudo una questione culturale più profonda. “Questo è un esempio di come l’arte di strada sia ancora percepita come di minor valore rispetto a un semplice biglietto del cinema, ad un concerto, ad un evento sportivo o ad uno spettacolo teatrale. Ricordiamo che in tutte queste attività lavora un’organizzazione così come la nostra”, hanno sottolineato gli organizzatori.
La sfida è dunque duplice: da un lato garantire che il festival resti accessibile e inclusivo, dall’altro affermare che l’arte di strada ha dignità e costi organizzativi comparabili a qualsiasi altra forma di spettacolo.
Il Ferrara Buskers Festival resta un evento che dà visibilità internazionale alla città, ma gli organizzatori avvertono: la sua continuità non può poggiare soltanto sulla passione di chi lo realizza. “Il Ferrara Buskers Festival è sempre stato aperto al dialogo, è nel suo Dna. Ma c’è bisogno di tutta la città, senza steccati e preconcetti”.
L’appello finale è un invito a riconoscere il festival non come un fatto “dovuto”, ma come un patrimonio collettivo da proteggere e condividere: “La cultura educa, apre le menti, ci rende migliori. L’odio, il disprezzo, no”.
In questa dialettica tra numeri, benefici e criticità, la 38ª edizione segna un punto di svolta: il futuro del Buskers passa dalla capacità della comunità di riconoscerne il valore e di sostenerlo, affinché non diventi vittima della sua stessa unicità.
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