Gentile direttore,
ho letto con interesse sulla stampa locale gli articoli relativi al “Saldo dei Saldi”, la vendita promozionale in programma per il 5 e 6 settembre nelle attività commerciali del centro storico di Ferrara.
L’iniziativa viene presentata come un’ulteriore opportunità per i consumatori e un segnale di vitalità e trasparenza del settore tessile e abbigliamento. Si legge di “sconti più incisivi”, di “occasioni uniche e irripetibili” e di negozi di vicinato come “baluardo di trasparenza”.
Ben vengano le iniziative per rilanciare i consumi, ma il “Saldo dei Saldi” non sembra altro che una proroga dei saldi estivi, che di fatto terminano in questi giorni. Credo che queste azioni non bastino a risolvere i problemi reali, e limitarsi a chiedere politiche di rilancio dei consumi, come fanno tardivamente e genericamente (e con un po’ di ipocrisia) molti politici e associazioni di categoria, non è sufficiente.
Ho forti perplessità su questa politica degli sconti. Tra saldi estivi, invernali, primaverili e Black Friday, assistiamo a ribassi che superano il 50-60%. Questi sconti non sono solo commercialmente poco seri, ma anche poco trasparenti. De resto non è un segreto che i consumatori ormai aspettano questi periodi dell’anno per fare acquisti, il che non aumenta le vendite annuali, ma le concentra in poche settimane.
Sarebbe più semplice e lungimirante applicare prezzi onesti e “calmierati” durante tutto l’anno, riservando ai saldi sconti più contenuti.
Per anni, lavorando con imprese artigiane e piccole e medie imprese manifatturiere nel Veneto, ho potuto verificare una sproporzione evidente. Un prodotto, come una camicia o un maglione, venduto in uno spaccio aziendale a 10 euro, veniva rivenduto nei negozi a 100 euro con il marchio del produttore, e/o addirittura a 200 con quello di un grande brand. Intervenire sulla distribuzione semplificando i passaggi tra chi produce ed il consumatore finale, limiterebbe le speculazioni e aiuterebbe a calmierare i prezzi e a rilanciare i consumi in modo più sostenibile.
Il problema principale rimane comunque sempre lo stesso: dal 2019 al 2024 il potere d’acquisto delle famiglie è calato in media di oltre il 10%. La forte inflazione, dovuta a crisi esterne e a scelte politiche discutibili, unita a mancati rinnovi dei contratti di lavoro, ha eroso il reddito disponibile. Le iniziative di rilancio dei consumi, per quanto interessanti, non bastano se non si sostengono concretamente le famiglie e il lavoro.
È necessario intervenire dal lato della domanda: in parole semplici, mettere più soldi nelle tasche delle persone. Ovviamente il problema è più complesso e andrebbe affrontato in modo più articolato, ma questo è il punto di partenza.
Francesco Vigorelli