di Valter Zago*
Meglio tardi che mai vien da dire riflettendo sull’archeologia nel Delta del Po. Con particolare riguardo alla nascita altomedioevale della portuale Comaclum, la ‘città delle piccole navi’. Che seppe conquistare il primato del commercio del sale nell’allora longobarda Pianura Padana.
La bonifica, un secolo fa, di Valle Trebba portò alla luce inaspettatamente la prima straordinaria necropoli di Spina. Lo splendore dei corredi funerari attici emersi suggestionò a tal punto parte del popolamento deltizio da costringere le forze dell’ordine ad arginare addirittura un’invasione di massa da parte di abitanti di Lagosanto accorsi in corteo nell’area degli scavi per impadronirsene. Senza dimenticare gli innumerevoli tombaroli da quel momento in azione nottetempo fino a non molto tempo fa.
Giustificata fu quindi, allora, la trascuratezza dei pochi archeologi all’opera nei riguardi dei rinvenimenti soprattutto palafitticoli nella coeva bonifica di Valle Ponti, ubicata tra la suddetta Valle Trebba e l’abitato di Comacchio.
Trascorso mezzo secolo, nel 1981, fu scoperta sempre in Valle Ponti la nave romana “Fortuna Maris” di epoca augustea ed il suo intero e straordinario carico. Grazie al loro rinvenimento riprese concretamente slancio il progetto di dotare pure Comacchio finalmente di un museo archeologico. Che, oggi, gode del doppio dei visitatori paganti del Museo di Spina. E ciò nonostante questo esponga a Ferrara, dopo Atene, la più importante collezione di ceramica attica al mondo.
Soltanto nel 1996, ancora in Valle Ponti, fu oggetto di ricognizione da parte della Soprintendenza archeologica la sezione non ancora urbanizzata del Villaggio San Francesco che permise di individuare l’areale del porto altomedievale di Comacchio, comprenderne la conformazione e la straordinaria valenza commerciale.
Nel 2011, proprio di fronte al suddetto areale portuale e sempre in Valle Ponti, la Soprintendenza archeologica effettuò un saggio in occasione della posa di un metanodotto nella superficie occupata dal dismesso zuccherificio di Comacchio.
Grazie a quella ricerca occasionale e meramente puntuale vennero rinvenuti, come scrisse la Soprintendenza, “i resti di fondazione di un edificio abbastanza complesso, probabilmente un luogo di culto databile tra l’età paleocristiana e l’Alto Medioevo” http://archeobologna.beniculturali.it/comunicati_stampa/comacchio_12ago11.htm
Basta e avanza quanto qui riportato per suggerire ai decisori pubblici interessati al destino dell’ex zuccherificio di Comacchio di osservare – prima di qualsiasi nuova deliberazione al riguardo – l’elementare principio di precauzione, promuovendo al più presto una rigorosa ricognizione archeologica su tutto il suo areale, ivi compreso il podere che l’affianca. Prima che sia troppo tardi!
*Segretario Circolo del Delta Sinistra Italiana
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