di Giada Magnani
Dopo 102 anni dalla sua morte, ucciso da sicari fascisti, la memoria di Don Giovanni Minzoni è ancora viva tra gli argentani. Il suo ricordo non è svanito nel tempo. Anzi si attende che l’allora parroco della Colleggiata venga proclamato “Beato”.
Un cammino di santità, questo, iniziato il 7 ottobre del 2023, che, come ha spiegato in sintesi sabato 23 agosto l’arcivescovo metropolita di Ravenna-Cervia, monsignor Lorenzo Ghizzoni, nella sua omelia pronunciata nel corso della messa di suffragio celebrata in un gremito duomo di Argenta, “speriamo giunga a compimento nel suo percorso di canonizzazione, per dare uno speciale riconoscimento a un martire della chiesa, un sacerdote, ora dichiarato “Servo di Dio” che, mosso dalla fede in Cristo, dall’amore per gli altri, all’età di 38 anni si è sacrificato donando il suo sangue per il prossimo, l’educazione dei giovani, in campo sociale, per la giustizia, i poveri, i bisognosi, la formazione spirituale”. “Preghiamo – ha concluso esortando i tantissimi presenti – affinchè gli venga concessa la grazia divina”.
Nell’occasione l’alto prelato ha speso anche parole “per la pace e contro le guerre che stanno insanguinando il mondo: dal medio oriente al conflitto russo-ucraino”.
Nel corso della funzione concelebrata con don Fulvio Bresciani e i parroci del vicariato, è emersa anche l’importante figura del prete soldato: del cappellano militare, decorato sul campo di battaglia con medaglia d’argento per aver salvato la vita ad alcuni commilitoni sul Monte Zebio durante la 1° guerra mondiale, dove è stata posta una targa alla memoria.
Alla commemorazione c’erano delegazioni degli scout, quei ragazzi per i quali istituì, tra i primi in Italia, una squadra di “Piccoli Esploratori” in antitesi coi sabati balilla delle camice nere. Ma si trattò di un progetto finito male, che pagò caro, con la ferale condanna, colpito dai sicari dell’allora regime totalitario.
Dal 1983 le sue spoglie sono state traslate dal cimitero monumentale di Ravenna, sua città natale, in una tomba appositamente ricavata in duomo, su cui sabato si sono soffermati in raccoglimento, oltre che i religiosi scesi dall’altare, anche il sindaco Andrea Baldini, il presidente del consiglio comunale di Ravenna, Daniele Perini, i bersaglieri in congedo, l’Arma dei Carabinieri con in testa il luogotenente Luigi Solito, Polizia locale che ha scortato il gonfalone, enti, associazioni e istituzioni che hanno adornato con fiori e i foulard degli scout il sarcofago.
Sulla lapide c’è riportata questa frase tratta dal diario: “La croce io l’invocherò sul mio feretro, perché è il vessillo nel cui nome sono nato, vissuto e morto”.
A Don Minzoni è stato dedicato un museo, cui saranno devoluti gli incassi della vendita di un libro storico e di medagliette. Ma portano il suo nome anche scuole, centri sportivi e giovanili, per la famiglia, case di riposo per anziani, vie, piazze, luoghi pubblici, parchi.
Al termine dopo l’avvio del percorso diaconale per Matteo Musacchi, e la posa di una corona sul luogo del tragico agguato, dove una targa descrive Don Minzoni come “un uomo ostile al pensiero unico”, è stata offerta una apericena sul sagrato del duomo.