Quando la fotografia di Anas al Sharif, giornalista palestinese e martire, ha raggiunto Corso Martiri della Libertà, sorretta dalle mani di alcuni degli oltre duecento partecipanti, nella strada è calato il silenzio, seguito da un lungo applauso. La breve marcia di ieri sera (11 agosto) da piazza Cattedrale, organizzata dal collettivo Ferrara per la Palestina, aveva una meta precisa: la lapide che ricorda Pasquale Colagrande, Giulio Piazzi, Ugo Teglio e Alberto Vita Finzi, fucilati nella ‘lunga notte’ del 1943.
La pietra custodisce nomi che parlano di libertà pagata con la vita. Accanto a questi, ne sono stati pronunciati altri sei: quello di Anas al Sharif, 28 anni, e dei suoi colleghi Mohammed Qreiqeh (corrispondente), Ibrahim Zaher e Mohammed Noufal (cameraman), Moamen Aliwa (producer) e Mohammed al Khaldi (fotoreporter). L’intera troupe di Al Jazeera è stata bombardata da Israele nella tenda in cui si trovava, “colpita in un attacco deliberato, mirato a cancellare le voci libere”, dicono gli attivisti di Ferrara per la Palestina.
Dalla piazza, le voci si alternano in un crescendo di dolore e rabbia. C’è chi ricorda Anas come “la voce di Gaza, un uomo dal coraggio instancabile“, fino alle parole di disprezzo verso una nota testata nazionale che lo ha definito “giornalista-terrorista”, per poi correggersi qualche ora dopo. Qualcuno racconta la sua infinita determinazione, nonostante “giorni e notti senza pane né acqua, ma con la telecamera sempre in mano continuando a testimoniare, in piedi fino all’ultimo respiro“. Per loro, la sua uccisione è un messaggio chiaro al mondo: “non far sapere cosa accade a Gaza“.
Si parla di un giornalismo “sotto minaccia di morte”, di orrori e crimini di guerra “che non hanno precedenti”. “Non bastano più la compassione e le frasi di rito – afferma Alex -, è ora di trasformare l’indignazione in rabbia“. A prendere parola c’è anche la consigliera comunale di Copparo, Angela Cenacchi: “Gaza è la fotografia viva del fallimento della nostra società. È calata la maschera dell’Occidente. Non è mai stata solo una ‘causa palestinese’, perché riguarda tutti noi. Se possono violare liberamente tutte le leggi, i prossimi potremmo essere noi”.
E ancora Cenacchi aggiunge: “Sono una maestra e ho paura per quando arriverà settembre, perché basterà una parola scomoda per ricevere una querela. Ma non possiamo più stare zitti. Gaza ci guarda, la storia ci guarda. E non perdona l’indifferenza”. Come afferma Adam, “la resistenza palestinese resta salda”, e riguardo alla prossima offensiva annunciata sul nord di Gaza, dove vivono 800mila persone avverte: “A settembre ci sarà un’escalation e la classe politica dirigente dovrà accorgersi che la gente non ne può più“.
Infine, davanti alla lapide con i nomi della Resistenza, la lettura del testamento che Anas al Sharif aveva scritto a giugno, quando ormai era sempre più consapevole che la sua vita sarebbe stata spezzata: “Vi affido la Palestina, il battito cardiaco di ogni persona libera in questo mondo. Vi affido il suo popolo e i suoi giovani bambini oppressi, che non hanno vissuto abbastanza a lungo per sognare e vivere in sicurezza e pace. I loro corpi puri sono stati schiacciati da migliaia di tonnellate di bombe e missili israeliani, fatti a pezzi, e i loro resti sparsi sui muri. Vi prego di non essere ridotti al silenzio dalle restrizioni, né a essere paralizzati dai confini. Siate ponti verso la liberazione del Paese e del suo popolo”.
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