Attualità
19 Agosto 2025
Estense.com ha intervistato Giuliano Giubelli di Fiab: "Chi è al volante ha in mano un'arma. Occorre una nuova cultura dello spazio pubblico"

Bici e sicurezza, “Ferrara non è più la Copenaghen italiana”

di Redazione | 5 min

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di Tommaso Vissoli

Dopo la pubblicazione del rapporto 2024 della Partnership for Active Travel and Health (Path), che segnala l’Italia come lo Stato europeo con il più alto tasso di mortalità tra i ciclisti (5,1 decessi ogni 100 milioni di km pedalati), Estense.com ha contattato telefonicamente il consigliere locale di Fiab Ferrara e vicepresidente nazionale dell’associazione, Giuliano Giubelli, per fare il punto sulla sicurezza stradale, l’efficacia delle piste ciclabili, il comportamento degli automobilisti e il ruolo di una città come Ferrara, da sempre associata all’uso quotidiano della bicicletta.

Il recente rapporto Path 2024 indica l’Italia come lo Stato europeo con il più alto tasso di mortalità per i ciclisti. Cosa ci dice questo dato sullo stato della mobilità ciclabile nel nostro Paese?

“I dati sono molto chiari e preoccupanti. Indicano che, chi sceglie di usare la bicicletta per spostarsi ogni giorno, in Italia non ha ancora il rispetto che dovrebbe. Nelle nazioni del Nord Europa, ma anche in Francia, Spagna e persino in Grecia – dove di recente è stata introdotta una legge per il limite di 30 km/h in città – la situazione è molto diversa. Siamo indietro, e in controtendenza. Una buona parte della politica nazionale continua a ignorare o addirittura contrastare i temi della mobilità sostenibile. Dobbiamo cambiare approccio, sia come pubbliche amministrazioni che come governo: serve agire in modo concreto per ridurre i morti sulla strada”.

Ferrara è da sempre considerata una delle città italiane più amiche della bicicletta. In che misura questa reputazione corrisponde ancora alla realtà? Quali sono oggi i punti di forza e le criticità?

“Ferrara resta avanti rispetto ad altre città italiane, ma appena ci confrontiamo con l’estero ci accorgiamo che siamo rimasti indietro. È importante ricordare che nei primi anni ’90 Ferrara era quasi al pari di città come Copenaghen. In quegli anni, con assessori come Alessandro Bratti, furono fatte scelte coraggiose per la mobilità ciclabile. Se ancora oggi godiamo di una buona rete, lo dobbiamo a quelle amministrazioni. Negli ultimi anni, invece, si è fatto meno: si è vissuto sugli allori, e questo ci ha fatto perdere terreno”.

Parliamo di infrastrutture: la rete di piste ciclabili di Ferrara è sufficiente e sicura? Dove bisognerebbe intervenire con maggiore urgenza?

“Ferrara ha circa 234 km di infrastrutture ciclabili, siamo tra le prime città in Italia, ma non basta guardare ai numeri. Non è solo una questione di chilometri, serve un approccio più ampio: occorre una nuova cultura dello spazio pubblico. Serve partecipazione tra i vari utenti della strada e una ripartizione più equilibrata del territorio. L’introduzione del limite dei 30 km/h, ad esempio, sarebbe fondamentale: non è una misura simbolica, ma concreta. L’Istat ha dimostrato che in città, viaggiando a 30 km/h, si perde solo mezzo minuto rispetto all’auto. Dobbiamo puntare su questo cambiamento culturale”.

Spesso il problema non è solo l’infrastruttura, ma anche il comportamento degli automobilisti. In che modo la condotta alla guida incide sulla sicurezza di chi va in bici?

“In modo decisivo. Quando sei al volante, hai tra le mani un’arma: serve estrema attenzione. A Ferrara ci sono 665 auto ogni 1.000 abitanti, è un dato altissimo. La responsabilità di chi guida è enorme. Pensiamo al caso dei ciclisti uccisi in Puglia: non ha senso colpevolizzare la vittima. Posso avere il casco, il campanello, rispettare le regole, ma se un’auto mi investe da dietro, non posso farci nulla. Bisogna iniziare a fare domande a chi guida, non a chi pedala”.

In altri Paesi europei con tassi di mortalità più bassi, come Olanda e Germania, cosa fanno di diverso? Quali buone pratiche potremmo importare?

“L’Olanda, negli anni ’80, era messa come noi. Poi ha investito sul trasporto pubblico e ha reso le strade più sicure. In Italia, invece, si è fatto pochissimo. Molti genitori hanno paura a mandare i figli a scuola in bici, e questa paura è fondata. Altrove si è investito in treni, autobus e infrastrutture. Da noi, invece, dagli anni ’70-’80 abbiamo chiuso molte linee ferroviarie secondarie. Alcune sono state trasformate in ciclovie, ma è una magra consolazione. Se cominciassimo ora, potremmo raggiungere quei livelli tra 30 o 40 anni”.

Come Fiab, che tipo di iniziative state portando avanti per migliorare la sicurezza dei ciclisti, sia a livello legislativo che culturale?

“Fiab dialoga costantemente con le amministrazioni locali. Se oggi a Ferrara abbiamo nuove piste ciclabili, corsie riservate, doppio senso ciclabile e zone 30 è anche grazie alla nostra pressione. Andiamo nelle scuole, facciamo formazione sul Codice della Strada, sulla manutenzione delle bici, e proponiamo escursioni durante l’anno. Organizziamo iniziative culturali nel centro storico. È un lavoro capillare, ma i tempi della pubblica amministrazione spesso non aiutano”.

La mobilità sostenibile viene spesso promossa a parole, ma poi trascurata nei fatti. A livello locale e nazionale, cosa manca ancora per fare davvero della bicicletta un mezzo di trasporto prioritario?

“Manca una cultura della bicicletta, e a volte si va proprio nella direzione opposta. Bisogna cominciare dalle scuole: ci sono genitori che portano i figli con i Suv per pochi metri. Servirebbero fondi per promuovere le aree scolastiche temporaneamente chiuse al traffico, educazione civica vera, e figure come il mobility manager scolastico. Abbiamo anche condizioni climatiche favorevoli, quindi non ci sono scuse. Inoltre, bisognerebbe applicare seriamente l’articolo 141 del Codice della Strada, che impone di adattare la velocità alle condizioni della strada. Chi lo rispetta, evita incidenti. I feriti non sono solo quelli che guariscono in un mese, ma anche chi resta invalido a vita: su questo si parla troppo poco”.

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