Attualità
11 Agosto 2025
L'importanza di ricordare gli avvenimenti: "Oggi assistiamo a un tentativo di riscrittura della storia"

L’eccidio della Certosa, 81 anni dopo

di Redazione | 5 min

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Oggi (lunedì 11 agosto) ricorre l’ottantunesimo anniversario degli eccidi della certosa. Uno degli episodi che hanno segnato gli anni più bui della storia della città, e tristemente anche uno dei meno noti. Ne abbiamo parlato con Antonella Guarnieri, studiosa di fascismo e resistenza, che lavora come storica al museo del Risorgimento e della Resistenza.

Dottoressa Guarnieri, ci può raccontare cosa accadde la notte dell’11 agosto del 1944? Perché si commemora questo giorno?

La commemorazione degli eccidi è stata una cerimonia a lungo sottotono. Io sono arrivata nel 2013 al museo e solo nel 2014 ho visto per la prima volta la celebrazione. Questa cosa mi ha colpito e, come referente del museo del Risorgimento e della Resistenza, ho chiesto sia ad Anpi che all’assessorato di renderla una cerimonia più partecipata. Cosa che è stata molto gradita dai parenti delle vittime. Le vicende, durante le celebrazioni, venivano a malapena accennate e, mi venne raccontato in seguito dai parenti delle vittime, a volte nemmeno i nomi venivano letti.

I primi sei protagonisti, Destino Sivieri Tersillo, Guido Droghetti, Amleto Piccoli, Gaetano Bini, Guido Fillini e Romeo Bighi sono antifascisti, fanno attività di volantinaggio e informano di qualche incontro segreto dentro la fabbrica di Gomma Sintetica, il nucleo della futura Montedison. 

Erano tutte persone collegate, secondo la polizia fascista, con il partito comunista, arrestate pochi giorni prima dell’uccisione di Mario Villani, un maresciallo di polizia fedelissimo al fascismo, dopo un’operazione diretta dallo stesso Villani. Questa persona era famosa, nel periodo della Repubblica Sociale, per essere stato un soggetto violento, tanto che anche in famiglia, quando si venne a sapere della morte, si disse: “Finalmente ha smesso di fare del male al mondo”.

Villani viene ucciso il 10 agosto da un gap. Ferrara ha una storia particolare, perché non si è mai riusciti a ricostruire la storia dei gap. Questo gruppo di uomini coraggiosi ed ex militari era costituito da Mario Bisi, il comandante – che muore in Castello torturato da De Santis e dai suoi – da Donato Cazzato, Cerere Bagnolati e Paolo Cofano. A loro si aggiungeva Bruno Rizzieri, ucciso sul ponte dell’Impero dai brigatisti neri.

Le prime 7 persone, in carcere per un’azione di polizia coordinata da Villani, vengono uccise nell’immediatezza della morte del maresciallo fascista all’alba dell’11 agosto 1944.

Ma dato che si trovavano in carcere non potevano essere stati loro. Quindi arriviamo al 20 agosto. 

Esatto. Si continuano le ricerche e, dopo una probabile soffiata, si arrestano Cazzato, Mario Zanella – un fiancheggiatore dell’organizzazione -, Bisi e Cerere. Mentre i primi tre vengono portarli in castello e poi uccisi, la Cerere, come donna, verrà mandata in un campo di concentramento.

Dopo quelle uccisioni e in seguito alla deportazione e incarcerazione di altri che gravitavano attorno al gruppo, a Ferrara non ci saranno più episodi del genere e nemmeno quegli attentati ed azioni dimostrative che nei mesi precedenti avevano caratterizzato la città estense. Un intreccio di documenti e testimonianze, nate dalla ricerca di anni e dallo studio di questi due episodi, hanno evidenziato con chiarezza che a Ferrara, a differenza di quanto sostenuto per decenni, nel novembre 1943 esisteva già un gruppo di antifascisti in grado, tutti militari o ex militari, di uccidere il federale fascista.

Questo per dire che abbiamo bisogno di ricerca, di spazi, nelle istituzioni e università che si prendano cura del fatto che il passato si può riscrivere con un oggettività maggiore rispetto al passato.

Abbiamo anche una testimonianza della madre di Guido Fillini sulla violenza perpetrata sul corpo del figlio.

Sì. Silvana Baroni, pronipote di Fillini, è da subito stata in contatto con me per organizzare la cerimonia. Lei mi raccontò con dolore che il riconoscimento fu drammatico: la mamma di Guido, infatti, raccontava di un corpo torturato. Diceva che, durante il riconoscimento del corpo, aveva toccato gli occhi del figlio e sembrava che non li avesse. Loro sono stati torturati sicuramente, di Cazzato lo sappiamo con certezza, anche di quelli del gruppo del Gap. 

Un altro prigioniero, ugualmente destinato alla fucilazione, Jovanti Balestra, riuscì a fuggire e a sopravvivere.

Ho letto gli scritti di più persone che ne hanno parlato e raccontato: dicono che Balestra si è accorto sul camion di avere una catena più lenta. Per questo riesce a liberarsi e a fuggire tra gli spari, attraversando gli orti. Incontrerà, poi, un contadino, che gli darà dei vestiti e un panino e gli chiederà di andarsene, temendo rappresaglie. 

Perché è ancora importante oggi, dopo 81 anni, ricordare l’eccidio della certosa? 

È importante per la nostra storia per capire chi siamo oggi, perché i fatti storici nascono anche e soprattutto dal contesto economico-sociale che si fa poi politico. Fare ricerca in questo senso, porta a capire chi siamo oggi. Il fascismo a Ferrara ha vissuto momenti di grande evoluzione, non solo locale. La nostra è la città che all’inizio del 1921 porta Mussolini a uscire dalle sabbie mobili delle sconfitte elettorali, e qui a Ferrara accade qualcosa di centrale: Mussolini, Mantovani, Balbo stringono un patto.

Mantovani, capo degli agrari, darà la possibilità a Mussolini di essere il primo nella lista nel blocco delle elezioni politiche del maggio 1921, aprendogli la strada all’elezione in Parlamento e rimettendolo sulla strada della conquista del potere. D’altro canto Mussolini darà mano libera a Balbo per usare i suoi uomini, come richiesto dagli agrari estensi, per distruggere il movimento bracciantile.

È ancora difficile parlare oggi di questi avvenimenti?

Sì è molto difficile in questo momento, perché assistiamo a un tentativo di riscrittura della storia che si basa non sulla ricerca, bensì su una forte richiesta della politica. È una situazione molto pesante, per questo chiedo ricerca: perché aiuta a superare le contraddizioni.

Ci tengo a sottolineare che abbiamo bisogno di spazi, nelle istituzioni e nelle università, dove ci si possa prendere cura della nostra storia e del nostro passato, aprendoci a un confronto dialettico che prenda vita, non dalle polemiche e dalle contrapposizioni, ma dallo studio e dalla volontà di capire. L’invito è quello di aiutare i giovani ad avvicinarsi alla storia, e non solo contemporanea, per comprendere chi siamo e per comprendere meglio anche il nostro presente.

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