Lettere al Direttore
6 Agosto 2025

6 agosto, Hiroshima: emergenza suprema?

di Redazione | 3 min

Sono le 8,15 di un giorno come tanti. All’improvviso nel cielo di Hiroshima compare un aereo, uno soltanto, non uno stormo foriero di uno dei soliti, pur sempre temibili, bombardamenti. Quell’aereo solitario sta per cambiare per sempre il volto della guerra e dell’umanità. Ha una sola bomba in pancia, quella “little boy” che distruggerà in un attimo un’intera città, uccidendo la maggior parte della popolazione. 80.000 almeno muoiono nei secondi successivi alla deflagrazione, altri moriranno, nello strazio, nei mesi successivi. Se ne conteranno non meno di 140.000 alla fine dello stesso anno, e altri se ne aggiungeranno nel tempo per le conseguenze, fino ad allora inimmaginabili, della “bomba atomica”.

Male necessario o inutile strage, atto criminale o giustificabile da circostanze eccezionali? Da quando la guerra non coinvolge soltanto i combattenti ma anche le popolazioni civili, può valere ancora l’antico principio che “inter arma silent leges”, che le leggi tacciano violando ogni principio di distinzione, tentando di dare una giustificazione morale ad una politica immorale? Ma soprattutto dovremmo chiederci quanto sia giusto che, in nome della nobile aspirazione alla Pace, venga chiamata in causa quella “emergenza suprema” che tutto giustifica, anche le peggiori atrocità.

Bisognava sconfiggere il nemico fiaccando lo spirito di un intero popolo, esattamente come era avvenuto con i terrificanti bombardamenti sulle città tedesche. A nulla era valso che Dresda, la Firenze dell’Elba, non fosse obbiettivo militare, che in quel momento fosse abitata per lo più da donne, bambini ed anziani, e si fosse riempita di profughi disperati che fuggivano di fronte all’avanzata dell’Armata Rossa, mentre la guerra volgeva al termine. Gli Anglo-Americani devastano la città, usando ignominiosamente bombe incendiarie che la trasformano in un immenso rogo infernale, che continuerà a bruciare per oltre una settimana. Nessuno sa esattamente quanti furono i morti, certo non meno di 135.000, ma si stima molti di più. Vero è che uccidere deliberatamente tanti innocenti, per estirpare un Male Assoluto come il Nazismo, fu considerato moralmente accettabile.

La Germania aveva cominciato la guerra aggredendo Stati Sovrani, e quindi si era resa responsabile di tutte le conseguenze di un conflitto voluto ed avviato, e lo stesso fu per il Giappone che, in nome di una violenta politica imperialista, attaccando proditoriamente Pearl Harbor, si trasformò in un minaccioso aggressore. E l’aggressione, qualunque ne sia la motivazione, è comunque sempre da considerarsi un crimine. Quindi “vittoria a tutti i costi, malgrado qualunque terrore”. Ma se tutto si giustifica come male minore, dovremmo chiederci se parlare di principio di proporzionalità può avere un senso o appare piuttosto un paradosso. Dove stava la proporzionalità mentre le bombe di “butcher” Harris, peraltro condivise dagli Americani, cadevano sulle popolazioni stremate? O peggio, quando si sperimentava l’orrore a Hiroshima, ben sapendo che il Giappone stava per arrendersi?

Nessuno si indignò più di tanto, perchè in entrambi i casi ci si giustificò con la necessità di mettere in ginocchio le popolazioni civili per anticipare la fine dalla guerra, pur avendo la consapevolezza che si trattasse di
atti esecrabili in quanto tali. Ma non c’erano le televisioni a riprendere in diretta le stragi degli innocenti che bruciavano vivi e, si sa, anche le notizie di simili immani tragedie perdono di intensità se non giungono in tempo reale fissate in immagini e testimonianze.  Oggi li chiameremmo “crimini di guerra” e, nel caso di Hiroshima, senza dubbio alcuno, “crimine contro l’ Umanità”.

Fiorenza Bignozzi

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