Il Piano di Azione Nazionale per la Salute Mentale (Pansm) 2025-2030, trasmesso dal Ministero della Salute il 15 luglio, è, secondo l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna, ambizioso ma presenta criticità su cui è bene intervenire, tempestivamente.
«Il Pansm – dice la presidente dell’Ordine Laura Valletta – nell’introduzione riconosce il ruolo cruciale dei determinanti sociali della salute mentale, promuove l’approccio bio-psico-sociale e punta sull’integrazione con il territorio. Ma la sua declinazione operativa è medico-centrica, riportando al centro la patologia psichiatrica e rischiando di lasciare ai margini la psicologia e la prevenzione primaria, di cui c’è sempre più bisogno».
Nel documento viene anche esplicitato che solo il 7,2% delle prestazioni erogate nei servizi territoriali è di tipo psicologico o psicoterapico, contro il 30,7% di quelle infermieristiche e il 25,2% di quelle psichiatriche. «Un dato che riflette ancora una volta – sottolinea – una carenza strutturale di professionisti psicologi nel Servizio Sanitario Nazionale, con un impatto diretto sulla qualità e accessibilità delle cure».
Quali le altre criticità del Pansm? «La collocazione dello psicologo di primo livello. Nel Piano viene indicata all’interno delle Case della Comunità, come previsto dal DM 77/2022, ma allo stesso tempo, a livello operativo, viene di nuovo posta nei Dipartimenti di Salute Mentale, contraddicendo la logica della prossimità e rischiando di far ricadere anche i disagi lievi in un’ottica specialistica. Quando il modello Stepped Care per la depressione, citato anche dal Piano, mette al primo posto la psicoeducazione e il supporto tra pari; il livello crescente prevede la psicoterapia anche senza farmaci in alternativa al trattamento farmacologico semplice o la combinazione dei due», sottolinea Valletta, che aggiunge: «Il rischio, così, è di non fare davvero prevenzione, non rispettare i principi di appropriatezza dei trattamenti, e aumentare l’uso di farmaci e di ricoveri», puntualizza Valletta.
Quali le revisioni suggerite? «In Emilia-Romagna abbiamo l’esperienza dello psicologo nelle Case della Comunità: la nostra Regione, seppur ancora con margini di miglioramento dal punto di vista organizzativo e con il bisogno di avere un maggior numero di psicologi presenti nelle strutture, ha già dimostrato che ci sono modelli organizzativi molto più trasversali rispetto ai Dipartimenti di Salute Mentale. Modelli che hanno altri dipartimenti chiave come quelli delle Cure Primarie e Sanità Pubblica, con una connotazione più marcata in chiave preventiva e anti-stigma, realmente centrati sulla persona, sulle interfacce sanitarie, sociali e comunitarie», sottolinea Valletta.
Ma non è ancora tutto: «Nel Piano si fa riferimento ai concetti di task-shifting e di task-sharing, in modo poco chiaro: senza una definita attribuzione di ruoli e competenze, si rischia di svalutare il contributo dei professionisti psicologi e minare la qualità dei trattamenti, aprendo la strada a pratiche inefficaci e che potrebbero configurare l’abuso della professione», osserva Alexia Polmonari, consigliera dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna.
Inoltre, sarebbe da favorire «un potenziamento dei Consultori Familiari, con una forte mission preventiva e di empowerment, in modo da alleggerire di molto i secondi livelli di intervento. Nel Piano, però, manca la sede in cui avviene questa prevenzione, che non può essere nei DSM, ma nella comunità, nella prossimità più vicina alla persona. Occorrerebbe un cambio di paradigma, più orientato alla psicologia di comunità e una forte interconnessione socio-sanitaria», aggiunge Valletta.
Altri temi assenti o marginali nel PANSM riguardano aree fondamentali per una visione più attuale della salute mentale: «Pur nella sua ampiezza, il documento trascura intere aree come psicologia ospedaliera, psicologia dell’emergenza, supporto ai caregiver, nuove dipendenze, violenza di genere, povertà e marginalità, rapporto con il sistema giudiziario, solo per citarne alcune. Eppure, queste sono realtà quotidiane per migliaia di professionisti sul campo», aggiunge la presidente OPER.
Luana Valletta, in conclusione, invita a una chiamata al dialogo: «Abbiamo una grande opportunità: costruire un sistema che metta davvero la persona al centro, intercettando i bisogni prima che diventino emergenze. Ma per farlo serve chiarezza nei modelli, valorizzazione delle professionalità psicologiche e un ascolto autentico delle buone pratiche già attive nei territori. Il documento necessita di una revisione delle declinazioni operative, per evitare che principi corretti vengano poi disattesi a scapito della salute dei cittadini. Prevedendo anche il coinvolgimento della psicologia e dei suoi professionisti che lavorano nei servizi e nelle istituzioni che li rappresentano, anche nell’ottica di mettere a sistema le diverse buone pratiche aziendali e regionali».
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