Cronaca
22 Luglio 2025
L'ex vicesindaco parla nel processo per le minacce all'ex consigliera: "I dubbi su di lei dopo un errore grammaticale in una delle lettere auto minatorie. Le telecamere sulle auto? Installate su suggerimento del questore Capocasa"

Caso Arquà. Lodi: “Nessuna simpatia. Soffriva di invidia”

di Davide Soattin | 7 min

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In qualche occasione gli puliva casa e gli teneva il figlio e – grazie alla propria intercessione – era riuscito a farle avere anche un rimborso per le attività che svolgeva all’interno della sede della Lega, ma tra loro – per lui – “non c’è mai stato nessun rapporto di amicizia o di simpatia, ma solamente di collaborazione“. Sono le parole che – ieri mattina (lunedì 21 luglio) – l’ex vicesindaco Nicola Lodi ha utilizzato in aula per descrivere il legame con Rossella Arquà, oggi a processo con l’accusa di minacce nei confronti dell’ex assessore, per le lettere minatorie che, tra aprile e giugno 2021, secondo la Procura di Ferrara, avrebbe confezionato e lasciato nella sede del partito di via Ripagrande con l’obiettivo di intimidirlo.

Lettere di cui Lodi ha detto essere stato messo al corrente – tramite messaggi e telefonate – direttamente dalla stessa imputata, senza averle mai toccate con mano. “Alcune le aveva trovate nella buchetta postale della Lega, altre sotto la saracinesca, una sul parabrezza dell’auto, ma personalmente io non ne ho mai trovate. Le dissi immediatamente di informare la Questura, il 112 oppure la Digos, con cui avevamo contatti per motivi politici e istituzionali” ha spiegato Naomo, rispondendo alle domande della pm Isabella Cavallari.

Ad accendere le perplessità dell’ex braccio destro del sindaco Alan Fabbri, su una possibile implicazione di Arquà nella vicenda, fu una stortura grammaticale contenuta nella missiva del 26 maggio 2021, quella delle presunte auto minacce che si sarebbe auto inviata la consigliera. Il riferimento è alla parola “Begniamina” scritta con la “gni“, ha fatto notare Lodi in aula, sottolineando come quell’errore da matita rossa gli fece “venire i dubbi perché, già in altre occasioni, l’ex consigliera aveva scritto messaggi con inesattezze a livello ortografico”.

Da lì, l’ex assessore decise di coinvolgere Francesco D’Avino e Rodolfo Trombetta, all’epoca dei fatti funzionari della Digos: “Dissi loro che, per me, chi scriveva e inviava quelle lettere era una persona vicina a me, che soffriva di invidia e di alcuni malesseri. E gli feci il nome di Rossella Arquà. Chi mai sarebbe andato a minacciarla? Non era una persona esposta, nessuno la conosceva e non faceva attività politica. Era utilizzata per svolgere lavoro più di pratica che a livello istituzionale. Forse quel periodo sentiva di essere esclusa dalle attività o accantonata. Quando le mandai i messaggi concordati con la Digos per dirle che non sarebbe dovuta venire ai banchetti organizzati dal partito, fu tutto più chiaro, perché immediatamente partivano le lettere. Ma prima di quei messaggi non ci avrei mai pensato”.

Lodi è stato sentito anche sulla questione delle telecamere installate fuori e dentro la sede della Lega di via Ripagrande: “In sede non le avevamo e il questore Cesare Capocasa, insieme a D’Avino, mi dissero di installarle. Le feci mettere all’interno di due auto fuori dall’immobile, una di proprietà del Comune e l’altra di proprietà di Fabio Felisatti (ex consigliere comunale nella prima giunta guidata Fabbri, ndr). Col caldo una di quelle si staccò e quindi il questore mi disse di fare una roba seria. Incaricammo quindi la società privata Securfox per mettere una telecamera all’interno della sede, che solamente la ditta di vigilanza e la Digos potevano visionare, mentre io non avevo quella possibilità. Le pagai tutte di tasca mia, spendendo quasi 500 euro“.

Arrivati al 10 giugno 2021, Arquà vuotò il sacco e scrisse un messaggio a Lodi in cui gli fece sapere che aveva “bisogno urgente” di incontrarlo. “Scusa, ma ho fatto una porcata” gli disse, ammettendo di star attraversando un momento di difficoltà a livello familiare. Aggiunse di aver fatto quello che aveva fatto – ha proseguito Naomo – perchè “disperata” e “incapace di andare avanti“. Poi però il chiarimento: “Io c’entro solo con quelle (le lettere, ndr) inviate in sede, ma non con le altre“. “Non ho mai saputo i reali motivi di quel gesto” ha affermato l’ex vicesindaco, dicendo di essersisentito sollevato” la sera in cui la polizia di Stato fermò Rossella Arquà, dopo “mesi di tensione” e di spavento“.

Incalzato dalla domanda di Fabio Anselmo, avvocato difensore dell’imputata, che ha fatto riferimento a un messaggio in cui l’ex consigliera domandò a Lodi se avesse “messo un’altra macchina con la telecamera” per chiedere se la donna fosse al corrente della presenza di telecamere installate sulle auto, Naomo ha evidenziato che Arquà “non ha mai saputo” di quel provvedimento, né che lui glielo avesse detto. Lodi ha inoltre negato di sapere che Arquà avrebbe iniziato a mandare lettere anonime. Quanto ai rapporti con la Digos e alla presenza di alcuni funzionari fuori dalle aule di tribunale durante i processi in cui Lodi era imputato, l’ex numero due della giunta Fabbri ha detto che “faceva parte di un ordine di servizio. Non ho mai richiesto il loro supporto, ma erano presenti per il rischio di manifestazioni non autorizzate e contestazioni nei miei confronti” ha aggiunto.

Sulla presenza delle telecamere all’esterno della sede della Lega è stato sentito anche l’allora dirigente della Digos, Francesco D’Avino, che prese servizio a Ferrara il 19 aprile 2021, quando fu trovato un bossolo inerte nella buchetta della posta del locale di via Ripagrande. Lo stesso giorno – ha ricordato – “fui informato da un collega che era stata installata una telecamera, non ancora funzionante, fuori dalla sede che inquadrava l’ingresso dei locali del partito. Era stata messa all’interno di un’autovettura su iniziativa della stessa persona offesa in accordo col questore Capocasa, che mi mise al corrente di quell’installazione”. “Non ci coinvolse direttamente, non fu un’installazione che chiese la Digos e quindi, per questo motivo, non ce n’è traccia perché non vi fu nessun passaggio documentale. Noi la richiedemmo il 26 maggio, ma non ci fu data alcuna autorizzazione” ci ha tenuto a precisare il testimone, smentendo quando affermato da Lodi

D’Avino è stato chiamato a testimoniare anche sul sequestro del telefono di Rossella Arquà, eseguito il 21 giugno 2021, quattro giorni dopo la richiesta avanzata il 17 giugno. “Fu custodito dentro a un armadio blindato, probabilmente nel mio ufficio. La signora ci diede il codice di sblocco e venne messo in modalità aereo“. Il giudice Giuseppe Palasciano ha fatto notare come – dalle consulenze della difesa – sia emerso che, quaranta minuti dopo il sequestro (dalle 15.45 alle 16.23 del 21 giugno 2021), il dispositivo fu sbloccato. “Questa cosa non sarebbe dovuta accadere e ne prendo atto” ha detto il funzionario, dicendo però di “non avere contezza” di quanto accaduto. Parlando delle attività eseguite sul cellulare di Arquà, il poliziotto ha detto che “diverse decine di chat non furono trovate, tra cui quelle con l’ex vicesindaco, che vennero poi acquisite, con un’estrazione chat dal telefono di Nicola Lodi nell’ambito di un altro procedimento penale. Non ci trovammo comunque situazioni di particolare interesse investigativo che potessero lasciare intendere che le cose potessero essere andate diversamente da come immaginato”. Ascoltato su questa circostanza, rispondendo alla precisa domanda di Anselmo, l’ex assessore ha affermato di “non aver mai cancellato nessuna chat e di aver consegnato il cellulare alla Digos come mi fu chiesto”.

Per la difesa di Rossella Arquà, le presunte cancellazioni sarebbero avvenute dal 15 al 18 giugno 2021. Cancellazioni però a cui è stato impossibile risalire dal momento che – secondo la consulenza eseguita dall’ingegnere informatico della Procura di Ferrara – l’aver lasciato il cellulare in modalità aereo (prassi operativa eseguita dall’assistente capo Michele Brancaleoni e confermata da D’Avino, ndr) ha comportato “una continuità di attività del sistema operativo” tra cui vari backup automatici della chat WhatsApp che avrebbero impedito di far vedere agli inquirenti quanto era contenuto prima nelle conversazioni dell’app di messaggistica online. Eventualità che sarebbe stata possibile – ha sottolineato il consulente della difesa – “qualora il telefono fosse stato spento“.

Il processo tornerà in aula il 28 novembre per il controesame di D’Avino e l’audizione del teste Rodolfo Trombetta. Nelle prossime udienze sarò sentito anche l’ex questore Cesare Capocasa, come chiesto dalla difesa di Arquà.

 

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