Cronaca
20 Luglio 2025
I giudici di terzo grado dopo la conferma dell'associazione di stampo mafioso a carico dei tredici imputati: "Gruppo in cui l'esercizio della violenza era diffuso"

Mafia nigeriana, la Cassazione: “Forza intimidatrice dei Vikings”

di Davide Soattin | 3 min

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Un minuto di silenzio per ricordare Borsellino

Alle 16.58 in punto, sotto il Volto del Cavallo a Ferrara, il gruppo locale di Agende Rosse ha osservato un minuto di silenzio per ricordare Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, morti in via D'Amelio

Ventisei pagine di motivazioni in cui – tra i vari passaggi – viene ribadita la “forza intimidatrice” dei membri del cult Vikings/Arobaga finiti a processo per la vicenda della mafia nigeriana che regnava sulla Gad. Sono quelle pubblicate dalla Corte di Cassazione, dopo la sentenza di terzo grado che – a fine maggio – aveva confermato le condanne a carico dei tredici imputati per quanto riguarda l’associazione a delinquere di stampo mafioso, chiedendo però – alla Corte d’Appello del tribunale di Bologna – di valutare nuovamente l’aggravante della transnazionalità per tutti gli imputati.

In particolare, nel motivare la sussistenza dell’associazione mafiosa, i giudici romani pongono l’accento “sull’assetto organizzativo” dell’organizzazione, “connotato da specifiche regole interne e da una struttura di carattere gerarchico ispirata al modello del cult madre nigeriano, dalla divisione dei ruoli e da riti di affiliazione anche violenti”, nonché sulla “commissione di una serie di reati, specialmente contro la persona e con l’uso di armi come il machete, attraverso cui il sodalizio esercitava il controllo sul territorio proponendosi come gruppo egemone rispetto a quello rivale degli Eiye”.

La Suprema Corte di Cassazione, nello spiegare il perché del rigetto del ricorso presentato dalle difese degli imputati, prosegue definendo il sodalizio criminale dei Vikings/Arobaga come “un gruppo in cui l’esercizio della violenza era diffuso quale regola di disciplina interna, funzionale al mantenimento dell’ordine gerarchico e al rispetto delle regole proprie del sodalizio, oltre che come principale forma di lotta nei confronti del gruppo rivale e di reclutamento di nuove leve“.

Nello specifico, gli ermellini fanno riferimento all’uso di segni distintivi nell’abbigliamento, alla natura violenta dei riti di affiliazione, all’uso sistematico della violenza, anche con l’utilizzo del machete, “arma di elezione del gruppo, sia per affermare il proprio predominio nel territorio rispetto al gruppo rivale che per risolvere conflitti interni al gruppo”. Ma non solo, tra gli elementi evidenziati dalla Suprema Corte anche l’impiego di un linguaggio in codice e di una simbologia echeggiante la cultura vichinga e lo svolgimento di riunioni periodiche la cui mancata partecipazione, al pari dell’inosservanza delle regole interne, era oggetto di sanzioni.

La Cassazione – nelle motivazioni – pone la lente anche sul versamento di quote associative con importo variabile in base al ruolo, sulla solidarietà tra gli associati in occasione degli arresti e sulla condizione di assoggettamento e omertà sia della popolazione nigeriana residente nel territorio sia della popolazione di Ferrara residente nei quartieri in cui era operativo il sodalizio, come nel caso della rivolta dei cassonetti del febbraio 2019 lungo viale della Costituzione, in piena zona Gad.

Accolto invece con annullamento della sentenza – come si diceva – il ricorso relativo alla transnazionalità del sodalizio criminale. I giudici della Corte d’Appello di Bologna quindi, all’udienza che sarà fissata prossimamente, dovranno tornare nuovamente a esprimersi sull’esistenza o meno dell’aggravante che, qualora venisse meno, porterebbe a una rivalutazione delle pene inflitte agli imputati, che – al momento – non possono ancora diventare definitive.

Dopo i due gradi di giudizio, lo ricordiamo, Emmanuel Okenwa – in arte Dj Boogie e capo del clan – era stato condannato a 13 anni, 3 mesi e 20 giorni mentre Emmanuel Albert a 12 anni, 3 mesi e 20 giorni. Con loro sono a processo Lucky Anthony Odianose e Godspower Okoduwa, rispettivamente condannati a 13 anni e 1 mese e 12 anni e 4 mesi. Alla sbarra anche Henry Arehobor (13 anni, 1 mese e 20 giorni), Glory Egbogun (11 anni, 4 mesi e 10 giorni), Irabor Igbinosa (11 anni, 2 mesi e 20 giorni) e Kingsly Okoase (11 anni, 4 mesi e 20 giorni). Musa Junior e Shaka Abubakar erano stati condannati a 11 anni e 7 mesi e 11 anni. A Felix Tuesday erano stati inflitti 9 anni, 3 mesi e 20 giorni, a Stanley Onuoha (per cui i giudici bolognesi dovranno rivalutare l’espulsione) e Gbidy Trinity invece 8 anni, 10 mesi e 20 giorni.

Erano invece stati assolti in appello Jacob Chedjou, Igene Joel e per Jonah Omon.

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