Tre settimane fa abbiamo pubblicato le lettere di due studentesse di scuola media indirizzate al preside Borciani, in merito a un progetto dell’ITI sulla questione di genere.
La cronaca italiana aveva registrato pochi giorni prima l’ennesimo femminicidio (Martina Carbonaro).
Riceviamo e pubblichiamo la risposta del dirigente scolastico.
Gentili studentesse,
solo ora, finiti gli scrutini e gli esami di stato, ho l’occasione per rispondere alle vostre lettere. Inizio ringraziandovi; grazie per l’attenzione che ci avete rivolto, ma soprattutto grazie per le vostre parole che hanno colto i punti fondamentali del problema. Che per me sono questi:
la violenza di genere, che ha tante cause e modalità, è soprattutto un fenomeno sociale e culturale, sta nelle nostre abitudini, è dentro le nostre teste;
per difenderci, occorre cambiare il modo in cui viviamo le relazioni senza nemmeno vederle, cioè senza renderci conto di quanta violenza contengono;
per raggiungere un tale cambiamento, bisogna lavorare con i più giovani, perché maturino un modo diverso e poi lo mettano in pratica, lo rendano comune, lo insegnino/impongano ai non più giovani che fanno molta più fatica a cambiare;
quindi tocca (anche) alla scuola, che, come dite voi, deve “educare le nuove generazioni a vivere le relazioni in modo sano, libero e rispettoso”; trovo che sia un bellissimo compito.
Ma come si fa? Noi abbiamo pensato all’insegnamento di educazione civica, che è obbligatorio in tutte le scuole, in tutte le classi: una trentina di ore all’anno (una alla settimana) dedicate a imparare le regole della vita sociale; abbiamo deciso che almeno un terzo di questo lavoro sia dedicato al problema della violenza di genere, e che la disciplina si chiami “Educazione civica – contrasto alla violenza di genere”.
Questo per garantire che tutti gli studenti partecipino, che tutti abbiano l’occasione di incontrare esperti, psicologi e associazioni. Ogni consiglio di classe programma un percorso, ogni anno: non un momento eccezionale, ma un lavoro continuo.
Perché solo ora, chiedete, non è troppo tardi? Sì, c’è stata molta sottovalutazione. Forse c’era anche l’idea che il fatto stesso di stare a scuola insegnasse relazioni più sane e rispettose. Non è del tutto sbagliato: la scuola è organizzata per classi anche per questo motivo, perché si impari anche come stare insieme, come decidere, come rispettarsi (e quanto c’è mancato durante il lockdown!): non c’è solo l’apprendimento delle materie, ma anche quello delle relazioni.
Però non basta, bisogna che ci siano i momenti per rifletterci su, per capire come ci relazioniamo, quanto possono essere violenti e irrispettosi i nostri comportamenti. Ci scherziamo sopra, ne ridiamo? Qualcuno può essere davvero ferito da quella risata, è necessario che riusciamo a vederla e a rendercene conto.
Su questo stiamo lavorando ora: i ragazzi di una classe hanno fatto un questionario, chiedendo ai loro compagni come vivono certi aspetti delle loro relazioni, soprattutto di coppia, e ora ogni classe dovrebbe lavorare sulle risposte che abbiamo condiviso.
Ecco, questo è un modo per contribuire e partecipare: in qualunque scuola sarete, incoraggiate iniziative di questo tipo, una riflessione tra i ragazzi sul modo in cui vivono le relazioni, su cosa li fa stare bene o male. Da lì molte cose possono partire.
Ancora un grazie, e tanti auguri per il vostro percorso di crescita.
Francesco Borciani
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