C’è principalmente la credibilità della persona offesa alla base delle motivazioni con cui il gup Silvia Marini – lo scorso 4 giugno – ha condannato in abbreviato a cinque anni e quattro mesi il 43enne ferrarese Gabriele Moccia, finito a processo con la duplice accusa di atti persecutori e lesioni gravissime nei confronti di un 46enne seguito dai servizi poiché affetto da un disturbo schizoaffettivo, a cui aveva occupato la casa, approfittando del loro rapporto di amicizia per renderlo proprio schiavo. Lo aveva fatto – secondo l’accusa – senza contribuire al pagamento delle bollette o partecipare alle spese quotidiane, come invece i due avrebbero inizialmente pattuito prima di iniziare la convivenza.
“Non residua alcun dubbio – scrive il giudice nelle diciassette pagine di sentenza – sulla ricostruzione di quanto accaduto nell’arco temporale considerato nel capo d’imputazione alla luce della descrizione dei fatti resa dalla persona offesa. Le dichiarazioni di quest’ultima appaiono, infatti, intrinsecamente logiche e credibili, sono dettagliate, tra loro coerenti e circostanziate e hanno trovato numerosi riscontri esterni tra cui le e-mail inviate dalla vittima al proprio amministratore di sostegno, gli screenshot delle conversazioni Whatsapp avute con l’imputato, le dichiarazioni rese da due testimoni e i referti medici che suggellano la sussistenza degli effetti concreti di taluni dei comportamenti vessatori e violenti narrati dalla persona offesa e dalla stessa attribuiti all’imputato“.
“A fronte della riscontrata credibilità intrinseca ed estrinseca del narrato del denunciante, Moccia si è avvalso della facoltà di non rispondere e non ha personalmente offerto alcuna valida e ragionevole ricostruzione alternativa del rapporto con la persona offesa” prosegue il gup del tribunale di Ferrara nelle motivazioni di condanna in primo grado. Che poi evidenzia: “La ricostruzione dei fatti resa dalla vittima è scevra dalle caratteristiche tipiche del delirio persecutorio: il racconto è sintetico, contenuto, privo di esagerazioni, ma al tempo stesso preciso e dettagliato. Non si avanzano sospetti, ma si riportano circostanze precise. Quanto alle lesioni ci sono le foto e i referti, nonché, per l’ultima aggressione, la cartella clinica e la relazione del chirurgo“.
Quanto alla condotta complessiva, il giudice si sofferma sulle “foto della casa in situazione di degrado e sporcizia, tranne che la camera requisita da Moccia (con televisore ad ampio schermo)” e – relativamente al fatto che l’imputato si era appropriato della stanza, il gup del tribunale di Ferrara – nel documento – scrive che “vi è conferma” dalle dichiarazioni di una delle testimoni sentite durante il processo, “la quale riferiva che Moccia la teneva chiusa a chiave“.
“Dai documenti presenti in atti – aggiunge il gup – emerge una condizione di asservimento e sudditanza della persona offesa, soggetto debole e afflitto da patologia psichiatrica, condizioni che contribuivano a mantenere nella vittima una situazione di grave pressione psicologica e timore, tanto da indurlo a sopportare la presenza dell’ospite e a subire le sue minacce e violenze con grave pregiudizio per la sua salute fisica e psicologica. Intenso il dolo caratterizzante l’azione vessatoria prolungata posta in essere dall’imputato: emerge l’astuzia e scaltrezza di Moccia che, consapevole della fragilità dell’amico e del bisogno suo e dei familiari di appoggiarsi a terze persone, sapeva inizialmente carpirne la fiducia e così arrivare ad imporre la sua supremazia all’interno della casa e nei confronti della persona offesa”.
La vicenda giudiziaria avvenne all’interno di un’abitazione del centro storico che la vittima condivideva con tre coinquilini, tra cui appunto il 43enne che, spacciandosi per suo amico e protettore, lo aveva soggiogato alle proprie volontà, minacciandolo e picchiandolo quasi quotidianamente, al punto da provocargli – secondo l’accusa – un grave e perdurante stato di ansia e paura che generò in lui un fondato timore per la propria incolumità tale da costringerlo a cambiare abitudini di vita.
I fatti finiti al centro del processo sono avvenuti tra la fine dell’aprile 2023 e l’inizio dell’aprile 2024.
Il quadro accusatorio ricostruito dal pm Andrea Maggioni parlava di offese quasi quotidiane, sia faccia a faccia che tramite WhatsApp, oltre che di frequenti schiaffoni e pugni che Moccia rifilava consapevolmente alla pancia del padrone di casa, che in quella zona – negli anni precedenti – aveva subito un intervento chirurgico. In una circostanza, a ottobre 2023, il 46enne fu invece colpito con un pugno al volto, che gli causò un occhio nero, perché si rifiutò di attivare alcune PostePay. Mentre in un’altra occasione, il 9 aprile dello scorso anno, dopo averlo accusato falsamente di avergli rubato il telefono, prima gli mise le mani al collo e poi gli diede un ceffone, facendolo sbattere – in un secondo momento – contro un garage e minacciandolo con la frase “non finisce qua”.
Pochi giorni più tardi da quel violento affronto, il 12 aprile, si verificò la goccia che fece traboccare, quando il 46enne fu assalito e picchiato violentemente dal 43enne con pugni e gomitate nella pancia, tanto da costringere i sanitari dell’ospedale Sant’Anna di Cona a rimuovergli la milza data la gravità delle ferite riportate internamente dal malcapitato. Un fatto che la Procura di Ferrara ha ritenuto aggravato dall’aver cagionato alla vittima la perdita dell’uso di un organo. Dopo quella violenta aggressione, Moccia fu allontanato dalla casa – assieme agli altri due coinquilini ‘indesiderati – e fu denunciato. Poi – giorni dopo – i carabinieri gli notificarono il divieto di avvicinamento alla persona offesa come disposto dal gip del tribunale di Ferrara.
“La sentenza – commenta l’avvocato Simone Bianchi, che assiste la vittima – evidenzia la piena attendibilità del mio assistito, le cui dichiarazioni hanno trovato plurimi riscontri. Inoltre il giudice, a mio avviso, ha ben stigmatizzato il comportamento dell’imputato, il quale ha mostrato un atteggiamento estremamente violento, senza mai accennare al minimo pentimento per quanto accaduto e, soprattutto, disinteressandosi completamente delle condizioni di salute del mio cliente. Ribadisco che solo grazie allo sforzo di tutte le parti interessati, Procura e difesa, si è evitato che questa drammatica vicenda potesse concludersi in tragedia. Ovviamente c’è soddisfazione per il risultato raggiunto il cui merito va anche e soprattutto al coraggio del mio cliente, che ha nonostante le pressioni psicologiche e le violenze fisiche subite, ha trovato la forza di denunciare”.
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