Domani e domenica (28-29 giugno) si terrà al Centro Congressi Una Hotels di San Lazzaro di Savena il primo congresso nazionale del Partito Liberaldemocratico, nel corso del quale uno dei fondatori, il ferrarese Luigi Marattin, correrà per diventarne il primo segretario.
Marattin lei dice, nella sua mozione congressuale: “Prima il cosa. E poi il come e il chi”. La leadership diventa l’ultima componente in termini di importanza?
Un progetto politico è fatto da quattro componenti tutti ugualmente essenziali: leadership, classe dirigente diffusa, idea di società e organizzazione. Se ne manca anche solo uno di questi, allora non hai un progetto politico. Ma noi veniamo da anni in cui le esperienze politiche avevano in realtà solo uno di questi elementi, e cioè la leadership. Che è un elemento essenziale, ma non può essere l’unico.
Arretramento e riqualificazione dell’intervento pubblico sono, secondo lei, due capisaldi per far tornare a crescere il Paese. In che modo?
In Italia il settore pubblico fa troppe cose, e quasi tutte male. Se ne facesse meno, avremmo un duplice vantaggio: farebbe meglio le cose che è davvero deputato a fare, e lascerebbe spazio all’iniziativa privata che – funzionando sulla base di incentivi di mercato – potrebbe maggiormente creare innovazione e sviluppo.
Mi faccia fare esempi concreti. In una moderna economia di mercato, lo stato deve occuparsi di giustizia, di sicurezza, di finanziamento alla formazione professionale, scuola e sanità, di regolamentazione dei servizi pubblici, di tutela dei diritti di proprietà, di una efficace riscossione delle imposte, di un corretto funzionamento delle istituzioni, di infrastrutture fisiche e telematiche. Ha notato che praticamente nessuna di queste cose in Italia funziona bene? Noi pensiamo sia perché il settore pubblico in Italia è presente anche in tanti luoghi dove non dovrebbe esserlo: in miriadi di società partecipate, che addirittura non si riescono neanche a contare, figuriamoci a ridurre. In decine di strumenti destinati a intervenire nel capitale delle imprese definite “strategiche”, ma che spesso sono strategiche solo per privatizzare i profitti e socializzare le perdite. In un groviglio di regolamentazioni su tutto (io ad esempio fin da quando facevo l’assessore a Ferrara non capisco perché debba essere il pubblico a decidere quando si possono fare i saldi….). E potrei continuare. Quindi riassumendo: prima di fare altro, lo Stato faccia non bene ma in maniera eccellente quello che è tenuto a fare. Vedrà che basta e avanza…
Il Partito si propone di occupare uno spazio tra centrodestra e centrosinistra. Al primo sarebbe indigesto il concetto di pari opportunità mentre ai secondi quello di meritocrazia. A voi cosa è indigesto invece? E a chi volete dare voce?
A noi è indigesta la deriva che questo paese ha intrapreso da diversi anni. Una deriva populista e demagogica che fa somigliare la politica ad un mix tra uno scadente reality show, una televendita fraudolenta e una sfida di slogan e cori tra curve ultrà. Sembra che la politica si sia ridotta alla gara a sparare la balla più grossa per carpire il consenso della gente quando si aprono le urne, e poi cercare di sopravvivere con slogan, manipolazioni e bugie quando si è al governo. A furia di far così, il paese sta andando a sbattere. E la gente pensa che la politica sia irrilevante, e quindi smette di interessarsene e magari si fa affascinare dalla tentazione dell’“uomo forte al comando”.
Avete lasciato Italia Viva e l’alleanza con Azione, due partiti nati per occupare il vostro stesso campo. Non crede che lo spazio si stia intasando?
Lo spazio liberaldemocratico al centro non è affatto intasato. Alcuni partiti che si autodefiniscono in questo modo, infatti, in realtà hanno fatto una scelta di campo ben precisa. Italia Viva e Più Europa stanno saldamente nella coalizione di centrosinistra, e lo ripetono tutti i giorni. Noi Moderati e Forza Italia stanno ancor più saldamente in quello di centrodestra, e da decenni.
Lo spazio politico liberaldemocratico e riformatore è invece definito da chi vuole essere alternativo ai due poli. E al momento vedo solo Azione. Che è un partito che esiste da sei anni e merita molto rispetto (soprattutto da parte nostra, che stiamo nascendo ora). Ma l’elettorato potenziale di una formazione autenticamente terzopolista – come hanno dimostrato anche le due esperienze di Scelta Civica e del Terzo Polo – è compreso tra il 10% e il 15%. Quindi, dati i sondaggi di questi anni, sono più portato a credere che l’elettorato potenziale si raggiunga costruendo insieme, piuttosto che facendosi concorrenza al centro.
L’Italia non è un paese bipolare e lei evidenzia cinque culture politiche tradizionali: socialista, comunista, popolare, laico-liberale-repubblicana e destra sociale. Sulla scia di quali di queste culture si colloca tenendo in considerazione che la sua traiettoria politica ha abbracciato diversi percorsi?
Lei dice? Io ho un’opinione diversa. Al netto del fatto che il mondo è completamente cambiato da quando ero ragazzo ad oggi, ma devo dire che i tratti fondamentali del mio pensiero politico sono rimasti sostanzialmente li stessi in tutta la mia vita.
A 15 anni, da studente del Roiti, scendevo in piazza chiedendo l’aggiornamento dei programmi scolastici e le aperture pomeridiane delle scuole, ma me andavo quando arrivavano le bandiere rosse, le effige di Che Guevara e le camionette con la scritta CCCP. E già allora mi dicevano che, per questo, ero “di destra”.
A 20 anni mi iscrissi alla corrente liberale dei DS, che nei congressi faceva fatica a raggiungere il 3%. Ma che credeva nel mercato, nella concorrenza, nella riduzione della spesa pubblica, nelle riforme liberali. Tutte cose di cui sono convinto anche ora. Lei si ricorda bene di quando ho fatto l’assessore a Ferrara, a 30 anni, e ridussi il debito pubblico (altra occasione in cui mi attirai – in modo del tutto ingiustificato – l’etichetta “di destra”, come se ridurre la spesa per interessi per destinarla ad abbassare le tasse o aprire asili nido, come facemmo in quegli anni, fosse “di destra”…).
Il punto piuttosto è un altro. In quegli anni anch’io, come quasi tutti, rimasi vittima della narrazione secondo cui il bipolarismo era ineluttabile, come il sole e la luna. E allora, non avendo mai creduto nella presunta capacità di Berlusconi di fare la rivoluzione liberale, scelsi di far vivere i miei valori nell’altro campo. E per alcuni periodi (penso alle leadership di Veltroni e Renzi) pensavo pure di aver avuto ragione. Poi ho capito non solo che il centrosinistra italiano non potrà mai diventare liberale, ma anche che questo paese era (e tuttora è) in preda ad una dannosa illusione: quella di pensare che l’Italia possa essere un paese bipolarista.
Dichiara: “Finché il quadro politico italiano sarà caratterizzato da un bipolarismo trainato dagli estremismi e dai populismi, nessuna alleanza politica strutturata a livello nazionale sarà mai possibile tra noi e loro”. Si propone dunque di arrivare al 2027 con la possibilità di fare da perno per un governo che metta insieme Forza Italia e il Pd (o per lo meno le loro aree più liberali). Ma non è proprio da queste unioni, seppur in governi tecnici, che hanno tratto linfa vitale populismi e sovranismi?
Ma io infatti non parlo di governi tecnici. Parlo di governi politici. Ma che abbiano una semplice caratteristica: rifiutare i populismi sia di destra che di sinistra. I populismi non si moderano: si combattono.
“Il grillismo – dice – ha fatto più danni in Italia della peste bubbonica”. Demonizza il Movimento ancor più di quello che hanno fatto Matteo Renzi e Carlo Calenda che hanno scelto di dare maggior forza al contrasto ai sovranismi di destra. Loro hanno fatto una scelta decidendo di avvicinarsi a qualcosa che non gli piace per contrastare qualcosa che gli piace ancora meno. Voi del Partito Liberaldemocratico nella paradossale situazione di dover contrastare l’ascesa al potere dei 5 Stelle sareste disposti ad un’alleanza con la destra sovranista?
Ma guardi che sono la stessa cosa…..in Parlamento Lega e M5S si trovano spesso d’accordo su un sacco di cose, a cominciare dalla politica estera. E Fratelli d’Italia vive una contraddizione: è passato dal 1,96% del 2013 al 26% del 2022 con il peggior armamentario sovranista e populista. Una volta arrivato al governo, si è dovuto (grazie a Dio) rimangiare quasi tutto. Ma questo li pone in una situazione di forte imbarazzo politico. Le ripeto: il Partito Liberaldemocratico vuole favorire l’esistenza di una terza opzione quando tra due anni si tornerà a votare. Vogliamo dare la possibilità agli italiani di votare per uno schieramento che non comporti il far fare a Landini il ministro del Lavoro (e a Conte il ministro degli Esteri) o a Salvini il ministro degli Interni. Al momento, una persona che abbia simultaneamente questi due obiettivi non sa chi votare.
Sulla situazione internazionale sostenete la necessità di seguire la via dei cosiddetti Accordi di Abramo. Non aiuta certo il comportamento di Israele e ora quello degli Usa. In ogni caso un campo minato nel quale fare previsioni oggi. In ogni caso come pensate si possa invertire l’irrilevanza internazionale italiana ed europea?
A volte sembriamo tutti Alice nel Paese delle Meraviglie. La rilevanza internazionale, da quando esiste l’uomo, si ottiene con il predominio economico, tecnologico e militare.
Come scrivo nel mio libro (“La Missione Possibile: la costruzione di un partito liberaldemocratico e riformatore”, edito da Rubbettino), l’Italia è il paese al mondo che negli ultimi trent’anni è cresciuto meno. Abbiamo perso tutta la tecnologia del presente (per non parlare di quella del futuro), e militarmente siamo un paese sconfitto della Seconda Guerra Mondiale, l’ultimo conflitto che ha ridefinito i rapporti di forza a livello globale. Come possiamo pensare di far pendere il mondo dalle nostre labbra, non riesco proprio a capirlo.
Ma nel mondo globalizzato, la rilevanza non può che essere europea. E allora la partita si gioca su quei tre terreni (economico, tecnologico e militare) ma a livello europeo. Ma, di nuovo, come possiamo realizzarlo se gli azionisti di maggioranza di entrambe le coalizioni sono contrari ad una maggiore cessione di sovranità a livello europeo e ad un rafforzamento militare?