Tornare al Ministero delle imprese e del made in Italy. È quanto chiedono i Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil dopo mesi di trattative per il contratto integrativo aziendale non andati a buon fine con la direzione di Berco.
Ritengono quindi “indispensabile che il Mimit riconvochi le parti per favorire un vero processo di rinegoziazione economica, che non si limiti a una mera cancellazione mascherata degli istituti del contratto aziendale, ma che includa anche una visione strategica e prospettica per il futuro industriale di Berco“.
Un approccio ritenuto fondamentale anche “alla luce delle dichiarazioni aziendali che indicano come, nel prossimo triennio, Berco non raggiungerà il pareggio di bilancio, elemento che preoccupa profondamente il sindacato e i lavoratori circa la tenuta futura dell’azienda”.
Spiegando come si è arrivati a questo punto i sindacati partono dall’accordo dello scorso 10 aprile con cui si erano scongiurati i 247 licenziamenti e Berco aveva ritirato la disdetta della contrattazione integrativa aziendale.
Un accordo che, spiegano, “impegnava le parti a confrontarsi per la rinegoziazione della parte economica del vigente Ccia”. Per questo negli ultimi mesi si sono succeduti numerosi incontri tra le parti “finalizzati a discutere e proporre soluzioni condivise”.
Sono state presentate proposte con lo scopo di trovare un punto di incontro tra azienda e sindacati “per la rinegoziazione degli istituti economici del Ccia”. “In particolare – aggiungono -, nell’incontro del 19 giugno, le parti avevano condiviso una metodologia di sviluppo della rinegoziazione, concordando su quali istituti mantenere e quali invece congelare o rinegoziare. Era stata inoltre condivisa la volontà di sperimentare, in alcuni reparti dello stabilimento, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario“.
Spiegano che dopo quell’incontro “l’azienda ha consegnato alla parte sindacale una proposta dettagliata, che esplicitava le azioni ritenute necessarie”. Così Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil hanno incontrato e si sono confrontate con i lavoratori prima di dare una risposta nella quale dicevano di condividere “la metodologia di base, che prevedeva un incremento graduale delle voci economiche nel triennio”.
Hanno quindi “avanzato alcune proposte di modifica alla proposta aziendale” e il 25 e il 27 giugnole Rsu si sono nuovamente incontrate con la direzione aziendale per proseguire il confronto.
Al termine di questi incontri i sindacati spiegano di non aver potuto far altro “che constatare che l’azienda non ha voluto tenere conto delle proposte avanzate”. E questo “nonostante la disponibilità del sindacato a proporre e ricevere soluzioni finalizzate al raggiungimento di un accordo condiviso”.
Ad oggi non riscontrano le condizioni per un accordo entro il 30 giugno per cui hanno proposto di tornare al Mimit. “Siamo consapevoli – fanno sapere – dell’importanza della sostenibilità economica dell’azienda, ma riteniamo altrettanto fondamentale la sostenibilità economica dei salari”.
“Le uscite volontarie – proseguono -, che hanno comportato una riduzione dell’occupazione di oltre 200 unità presso lo stabilimento di Copparo, la messa in discussione dello stabilimento di Castel Franco Veneto e le uscite volontarie in corso in quest’ultimo, rappresentano di per sé un importante contenimento dei costi del lavoro. L’operazione di risanamento e l’aumento della competitività di Berco, in particolare nel mercato della ricambistica, non possono essere scaricati esclusivamente sui lavoratori, attraverso riduzioni di occupazione e salari”.
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