Attualità
23 Giugno 2025
Agli Emergency Days il libro di Raffaella Alois sul caporalato e lo sfruttamento di braccianti e rider

Dopo un anno Satman Singh è tornato invisibile

di Camilla Mondini | 3 min

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Un anno fa a Latina moriva il bracciante indiano Satman Singh. Satman ha perso un braccio usando un macchinario che, pare, non sarebbe stato a norma; poi è stato lasciato agonizzante e senza telefono dal suo ‘padrone’ davanti a casa.

La sua morte sembrava aver smosso le coscienze, ma quegli stessi animi che si sono detti scossi dalla brutalità di questa morte poi sembrano aver girato la testa dall’altra parte.

Cos’è cambiato davvero nelle campagne e nel settore agricolo quando si parla di lavoro e di caporalato?

Qualche iniziativa virtuosa per contrastare lo sfruttamento dei lavoratori dà qualche speranza. Un esempio è il progetto ‘Agribus’, presentato pochi giorni fa alla Prefettura di Ferrara, che ha come obiettivo un sistema di trasporto per i braccianti sui luoghi di lavoro, proprio per cercare di regolarizzare le tratte e ‘strapparli’ dallo sfruttamento dei caporali.

Nella primavera del 2024 lo Stato è intervenuto con nuovi controlli e nuove pene ma nel frattempo la storia di Satman, cessato il clamore mediatico, è tornata ad essere invisibile.

“Dare un senso a questa morte”, è da questa esigenza che nasce il libro “Dai braccianti ai rider. Il metodo caporalato e le nuove frontiere di sfruttamento” di Raffaella Alois, giornalista d’inchiesta che ha presentato il suo lavoro sabato 21 giugno agli Emergency Days di Ferrara. Alla presentazione hanno partecipato anche il segretario della Flai Cgil Dario Alba e il mediatore culturale Mauro Destefano.

“Il problema è che alla repressione si arriva quando si scopre il ‘fattaccio’ – spiega Raffaella Alois – quindi, alle volte, quando è troppo tardi. L’intervento deve essere fatto a livello culturale e di prevenzione. Io tutte le estati vado per le strade e vedo i braccianti lavorare, non so come possano essere definiti invisibili, vedo le cassette di pomodori con il sangue sopra. Cosa voglio dire? Che i controlli andrebbero fatti prima su tutta la filiera, se acquisto un prodotto voglio un prodotto pulito e libero dallo sfruttamento”.

È questo quello che l’auttrice chiede nel suo libro: “che ognuno faccia la sua parte”.
Alois parla anche di “metodo” del caporalato perché: “È un metodo che si presenta in tutta una serie di contesti, cambia faccia e forma a seconda del territorio e del settore produttivo. I metodi sono sempre gli stessi, lo sfruttamento dello stato di bisogno, la minaccia, il ricatto e la ghettizzazione. Noi cittadini nel piccolo possiamo acquistare da cooperative sane che aderiscono a determinati progetti e producono prodotti ‘puliti’ dal punto di vista dello sfruttamento e passarci una mano sulla coscienza”.

Non solo braccianti, anche rider e caporalato digitale. Esistono chat in cui i caporali pubblicano annunci di lavoro per reclutare i braccianti nell’immediato e fargli svolgere una singola prestazione.

“Nessuno, soprattutto lo Stato, si vuole occupare di questo fenomeno perché prima di tutto viene l’economia – spiega il segretario Flai Cgil Dario Alba -. Il caporalato riguarda tutto il mondo del lavoro, anche i lavoratori italiani. Spesso si pensa alle terre del sud Italia come centro dello sfruttamento ma non è così, è presente ed evidente anche qui. I lavoratori sfruttati nel nostro paese sono più di duecentomila, un quarto sono donne che oltre a essere sfruttate nei campi la mattina lo sono anche la sera con la prostituzione. Siamo in un mondo in cui si vuole guadagnare e lo si fa sulla pelle dei più deboli”.

Secondo il mediatore culturale Mauro Destefano, “piano piano pezzetti della nostra Costituzione vengono minati ogni giorno. Il paradosso è che la maggior parte dei lavoratori sfruttati sono regolari”.

“Ciò che manca a queste persone – conclude – è la consapevolezza dei loro diritti e qua intervengo io come mediatore insieme a tutto il resto del team. Il fenomeno viene affrontato come se si parlasse di uno sbarco avvenuto ieri, è sbagliato anche definirli migranti perché, tante, sono persone che su quel territorio ci sono invecchiati”.

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