di Elena Coatti
“La bambina il cui padre è stato ucciso mentre portava un sacco di farina sulla schiena continuerà a gustare il sangue di suo padre in ogni pane”, Haidar al-Ghazali, 21 anni, poeta di Gaza.
È con i versi scritti dai palestinesi, tra il continuo ronzio dei droni militari e le macerie di Gaza, che si sono aperti gli Emergency Days al centro sociale Il Parco. A dare voce a coloro che resistono nella Striscia e a chi, perché palestinese, non può circolare liberamente tra confini, il giornalista del quotidiano Domani Youssef Hassan Holgado e Leonardo Tosti, filosofo e curatore del libro che hanno presentato, “Il loro grido è la mia voce – Poesie da Gaza”.
La poesia di al-Ghazali, che Tosti ha scelto di leggere durante l’incontro, è uno squarcio netto, tagliente, nella coscienza. Una bambina costretta a mangiare pane impastato col sangue di suo padre: è questa l’immagine con cui si è alzato il sipario su un libro che raccoglie trentadue poesie scritte, in gran parte, dopo il 7 ottobre 2023 da giovani autori e autrici palestinesi.
Tosti ha parlato a lungo al pubblico, ponendo una riflessione che è diventata il filo rosso dell’intera serata: “Leggendo queste poesie, vi sembra una guerra? Vedete un esercito contro un altro? Vedete soldati che si fronteggiano sul campo di battaglia?”. La risposta è implicita, chiara, disarmante: no. Nelle poesie raccolte in questo volume non ci sono combattimenti, fazioni, eserciti. Ci sono persone. Madri, padri, bambini, studenti. Persone uccise non per quello che fanno, ma per quello che sono: palestinesi.
C’è una differenza abissale tra ciò che immaginiamo quando sentiamo la parola “guerra” e la realtà che queste poesie documentano: “La poesia qui non è una forma di evasione – ha spiegato Tosti -, ma un atto di resistenza. È una finestra, per chi scrive, verso l’esterno. Ed è una finestra anche per noi, se abbiamo il coraggio di affacciarci”.
Assente fisicamente, ma presente in ogni parola pronunciata, è stata Gaza stessa. Non c’erano poeti palestinesi all’incontro. Non perché non invitati, ma perché impossibilitati a muoversi. “Anche chi è fuori Gaza spesso non ha i documenti per spostarsi – ha sottolineato Holgado, che ha condiviso la sua esperienza di reporter a Rafah -. Quante volte avete sentito, su un giornale, la voce di un palestinese?”. Domanda che è rimasta sospesa tra il folto pubblico della sala.
Holgado ha parlato di “narrazione alternativa, complementare”, riferendosi all’atto poetico. Di un altro modo di raccontare ciò che accade, attraverso parole che non trovano spazio nei titoli dei quotidiani, ma che parlano in maniera ancora più profonda: “le parole della poesia”.
Tosti ha insistito su un punto che il sapore dell’ingiustizia più grande: “Noi non sappiamo niente di loro. Loro leggono Shakespeare, studiano Dante. E noi non sappiamo nemmeno che esistono, se non come numeri delle cronache”. Eppure, ha raccontato, nonostante non conoscesse l’arabo, è riuscito a entrare in contatto diretto con diversi poeti di Gaza. Alcuni li ha raggiunti via e-mail, altri via telefono. “Sono ragazzi come noi. Sono sempre stati entusiasti di collaborare. Non sono poi così lontani dal nostro mondo, anche se ci è sempre stato detto il contrario”.
C’è qualcosa di lacerante e universale in queste poesie. Il dettaglio che salva dalla retorica, che mette la verità negli occhi di chi legge. Il pane intriso di sangue. I bambini che imparano a riconoscere i droni dai suoni, che giocano a scavare sotto le macerie. Le madri che partoriscono in condizioni disumane. Il messaggio su Whatsapp che annuncia la distruzione imminente del quartiere. Non sono metafore, ma vite reali.
Tosti ha poi chiesto al pubblico di immaginare: “Pensate di essere nel vostro salotto, state cucinando, scherzando con gli amici. Sul telefono arriva questo messaggio: ‘Distruggeremo il vostro quartiere. Avete 24 ore per evacuare. Buonanotte’. Non lo sto inventando, è un messaggio che Haidar al-Ghazali ha ricevuto. E non c’era un posto sicuro dove andare”.
“Il loro grido è la mia voce” è più di un libro. Come ha ribadito Tosti, è un “atto di ascolto radicale”. È la testimonianza che il linguaggio può attraversare le rovine, le censure, i confini chiusi. È la prova che la poesia, anche nella devastazione, resta uno spazio di resistenza e di verità. E in quella verità, “non possiamo più voltarci dall’altra parte”. Perché, come ha detto ancora Tosti: “Il fatto straordinario non è che a Gaza scrivano poesie. È che quelle poesie si rivolgono a noi. E ci chiedono: tu, adesso, cosa farai con quello che hai sentito?”.
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