C’è uno strano rapporto che lega gli eletti e gli elettori di destra: si chiama paura. Gli eletti hanno paura di non riuscire a convincere i propri elettori della bontà delle proprie leggi e impongono ogni due per tre la fiducia nel voto al Parlamento e gli elettori di destra sono così imbottiti di paure da credersi perseguitati.
Io non avevo paura ma ora ce l’ho! Ce l’ho paradossalmente dopo la conversione in legge del decreto sicurezza, un pasticciaccio brutto in nome di parole come legge, ordine e disciplina che sono diventate il ritornello di una Destra che invece si fa beffe del diritto internazionale perché rimpatria, con tutti gli onori, un criminale libico ricercato dalla Corte Penale internazionale e si fa beffe della Costituzione: dell’art.11 perché continua a sostenere la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, dell’art.10 sul diritto d’asilo deportando i richiedenti in Albania, cosi come ora dell’art. 17 il quale recita “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamene e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.
Ho paura perché ora arriva l’”interpretazione autentica” di sicurezza, puramente politica, ovvero di una sola parte. Qualcosa di prescritto secondo gli interessi di una Destra che fa leva sulla parte più fragile della popolazione per millantare un presunto ordine che dovrebbe colmare il legittimo desiderio di sicurezza non solo dei propri elettori ma di tutta la cittadinanza.
Un esempio per chiarire: nelle carceri dal 2023 – dopo che è iniziato il percorso di quello che è sfociato nel decreto legge 4 aprile 2025 (sicurezza) – è aumentata la tensione interna, poiché ora entrano in carcere persone per reati che prima non erano tali e sono aumentati pure i termini di pena. Tutto questo a costo zero, ovvero senza che si siano adeguate le strutture né il personale, il che provoca una conflittualità che spesso sfocia in atti di rivolta dei detenuti ma il nuovo reato di rivolta carceraria punisce le condotte di rivolta “consumata all’interno di un istituto di pena, mediante atti di resistenza anche passiva. Si prevede la reclusione da 1 a 5 anni (carcere) o 1 a 4 anni (Cpr) per chi partecipa con violenza, minaccia o resistenza all’autorità. Il che si traduce, dritto dritto, in un vortice di aumento della detenzione.
Aumento della detenzione che potrebbe capitare anche a me, per esempio, se partecipassi ad un blocco stradale durante una manifestazione di protesta. Infatti l’articolo 14 del decreto sicurezza, già ribattezzato norma “anti-Ghandi, prevede la trasformazione dei blocchi stradali o ferroviari da illecito amministrativo a penale. Dunque chi si rende responsabile di un ostacolo alla circolazione incorre in un reato per cui è prevista la reclusione fino a un mese o la multa fino a 300 euro, indipendentemente dalle ragioni e dalle modalità della protesta.
Questo articolo di legge non ci rende più sicuri, anzi, mirando a neutralizzare le manifestazioni di carattere politico, attraverso l’aggravante associativa, ovvero l’aumento della pena della reclusione da sei mesi a due anni se il fatto è commesso da più persone riunite, non fa altro che esacerbare gli animi di chi rivendica il diritto sancito dall’art.17 della Costituzione.
Evidentemente questo Governo, che non era così sicuro nemmeno della propria capacità di approvazione di una simile malvagità legislativa, tanto da dover ricorrere alla richiesta della fiducia, è molto più insicuro di quanto va predicando, dato che teme le borseggiatrici incinte o il commercio delle infiorescenze di canapa, anche di quella con cui si fa la tela!
I problemi indubbi di borseggio, di commercio illegale di sostanze stupefacenti, di occupazione abusiva di immobili, di aggressioni alle forze dell’ordine o sanitarie, di manifestanti violenti non saranno affatto risolti dall’introduzione delle fattispecie di reato penale. Basta vedere cosa accade con i rei di femminicidio: non ce n’è uno che non sia arrestato e detenuto eppure questi reati non solo non diminuiscono ma spesso vengono addirittura reiterati quando il femminicida esce.
Ora nonostante tutto l’Impegno di chi, come me, si spende quotidianamente in un trattamento rieducativo in carcere, i dati ci dicono che in Italia c’è il 70% di recidiva, ovvero di persone che rientrano in carcere per nuovi reati.
Ergo la sicurezza non si raggiunge codificando nuovi reati penali o aumentando i termini di pena, ma solo costruendo una società dove non si identifichi per forza il nemico. Non si deve soffiare sulla paura ma lavorare per l’inclusione. Credo che se invece della ruspa al campo nomadi fossero arrivate delle proposte abitative e lavorative il classico lavoro di ladre o mendicanti non caratterizzerebbe le donne sinti o rom. Se i migranti fossero accolti per quello che sono, una risorsa lavorativa e demografica da integrare nella nostra società fornendo loro diritti non avremo le carceri e i Cpr intasati da clandestini. Se l’accesso all’abitazione fosse garantito a norma dell’art. 47 (favorisce l’accesso del risparmio alla proprietà dell’abitazione) non ci sarebbe bisogno di occupare così come le aggressioni ai sanitari si sono moltiplicate da quando la sanità privata sta soppiantando la sanità pubblica e l’accesso alle cure sta diventando un privilegio invece che un diritto a norma dell’art.32. I femminicidi non si evitano rinchiudendo per più anni l’assassino ma lavorando per prevenire l’assassinio e non è certo la politica dell’autoritarismo sia politico che militare che ci porterà maggiore sicurezza.
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