Attualità
1 Giugno 2025
Attorno a questo interrogativo si è sviluppato il convegno organizzato dall’Associazione Stampa Ferrara in occasione dei suoi 130 anni

Che ne è oggi della libertà di stampa?

di Redazione | 4 min

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Una mattinata intensa, fatta di riflessioni, scambi accesi e una domanda di fondo: che ne è oggi della libertà di stampa? È attorno a questo interrogativo che si è sviluppato il convegno organizzato dall’Associazione Stampa Ferrara in occasione dei suoi 130 anni, con l’evento “Le tante facce della giustizia e dell’informazione: libertà di stampa tra diritti/doveri, poteri e responsabilità”. Un titolo che racchiude perfettamente la complessità dei temi trattati.

L’incontro si è svolto in una sede simbolica: la sala consiliare del Comune di Ferrara, scelta proprio per sottolineare il valore istituzionale dell’iniziativa. A dare il benvenuto è stato l’assessore promotore del territorio Matteo Fornasini: “Questo è un evento importante, ospitato nel luogo più rappresentativo della nostra città. I temi che affrontiamo non parlano solo ai giornalisti o agli addetti ai lavori, ma riguardano tutti noi come cittadini”.

Ad aprire il dibattito è stata Antonella Vicenzi, presidente dell’Associazione Stampa Ferrara che ha ricordato l’importanza della giornata, che celebra 130 anni di storia della stampa ferrarese, ma ha anche lanciato un allarme: “Siamo di fronte a un cambiamento profondo. Le recenti modifiche normative limitano il diritto di cronaca e, con esso, il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati. È un momento critico: il nostro obiettivo oggi è avviare un confronto tra giornalisti, avvocati e magistrati per capire insieme come tutelare la trasparenza e la libertà di informazione. Perché, ricordiamolo, l’informazione è un bene pubblico”.

Un tema ripreso dal giornalista Daniele Predieri, che non nasconde la sua preoccupazione: “Quando abbiamo pensato a questo convegno ci sembrava quasi troppo teorico. Ma l’attualità ci ha subito dimostrato il contrario. La realtà ci è piombata addosso: oggi non siamo più liberi di pubblicare tutto ciò che vorremmo. Le nuove leggi impongono limiti molto stretti, e questo rende difficile informare i cittadini in modo completo. Perché non possiamo chiamarla Legge Bavaglio? Il senatore Balboni ha detto che non voleva si usasse questo termine. Ma i fatti parlano da soli”.

E proprio Alberto Balboni, senatore e avvocato, ha offerto una visione più istituzionale: “In Italia il diritto di cronaca è tutelato. Ma esiste anche il diritto alla riservatezza. La legge 114 vieta la pubblicazione integrale degli atti durante le fasi preliminari del processo. Non si tratta di censura, ma di rispetto: chi è indagato è ancora innocente. La stampa può lavorare, ma deve farlo rispettando i tempi e i limiti della legge”.

Più critica, invece, la posizione dell’avvocato Fabio Anselmo, che ha parlato con passione del rapporto tra media e giustizia: “Il processo mediatico è un meccanismo pericoloso. Le informazioni restano vive per anni, anche quando i processi sono finiti da tempo. Non possiamo accettare che si usi la cronaca per fini politici o per creare allarmismo. Le inchieste giornalistiche sono fondamentali, ma vanno gestite con responsabilità. Quando muore una persona come Stefano Cucchi, non possiamo permettere che venga criminalizzata da chi avrebbe dovuto proteggerla. Non dobbiamo mai dimenticare che dietro ogni notizia c’è una persona”.

A intervenire anche l’avvocato Niccolò Bellettati, che ha messo a fuoco il delicato equilibrio tra diritto all’informazione e dovere alla riservatezza: “Oggi tutti possono comunicare, non solo i giornalisti. Ma i professionisti devono rispondere a regole precise, e questo vale anche per gli avvocati, che hanno il dovere di rispettare il segreto professionale, anche quando parlano con la stampa”.

Sullo stesso tono l’avvocato Pasquale Longobucco, dell’Osservatorio Deontologia dell’Unione Camere Penali: “Il processo mediatico è spesso inquisitorio. Non sempre rispetta i tempi e le garanzie del giusto processo. Quando si pubblicano atti parziali, il rischio è quello di creare un’opinione pubblica distorta. Il giornalista serio non dovrebbe diventare il megafono di verità parziali”.

A chiudere gli interventi è stato il magistrato Stefano Longhi, sostituto procuratore di Ferrara: “Le procure non sono uffici stampa. In passato, a Ferrara, i giornalisti venivano direttamente a parlare con noi, e si instaurava un dialogo che permetteva una narrazione più corretta. Oggi questo non è più possibile. Le informazioni passano solo tramite comunicati ufficiali, quando ormai sono già apparse altrove. Serve ripensare al modo in cui comunichiamo, ma serve anche tutelare l’indagine. Dove c’è silenzio, spesso nasce il sospetto. E noi dobbiamo difendere il controllo pubblico sull’operato della giustizia, nel rispetto di tutte le parti”.

A concludere il convegno è il giornalista Daniele Predieri, che sottolinea che non esiste solo la libertà di stampa, ma anche la libertà di essere informati meglio. “Per questo – afferma Predieri – abbiamo deciso di creare un gruppo di lavoro con tutte le testate locali, con l’obiettivo di concretizzare quanto emerso oggi e dare continuità al confronto.

L’evento, valido anche come formazione professionale per i giornalisti, è stato promosso in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna, la Fondazione OdG e Assostampa Ferrara, con il sostegno di Aser-Fnsi e il patrocinio di Comune, Provincia e Regione Emilia-Romagna.

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