Cronaca
2 Giugno 2025
La denuncia del compagno di Maria Vittoria, morta a 41 anni all'ospedale di Cona. La Procura ha chiesto l'archiviazione dell'inchiesta, lui ora si oppone

Sedata per sempre senza che lui lo sapesse

di Davide Soattin | 7 min

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Sottoposta a un trattamento di sedazione profonda palliativa fino alla morte mentre era ancora cosciente, senza però aver mai ricevuto informazioni sullo stato della malattia e nemmeno aver esplicitamente dato il proprio consenso per eseguire su di lei quella pratica terapeutica. È quello che sarebbe accaduto alla 41enne Maria Vittoria Mastella, architetta di talento, morta il 12 luglio scorso dopo oltre un mese di ricovero all’ospedale di Cona. Lì era entrata qualche settimana prima, a giugno, per un collasso polmonare, conseguente alla diagnosi di adenocarcinoma polmonare che le fu comunicata a novembre 2023.

A denunciare il fatto è Davide Merchiori, 41 anni anche lui, di cui quindici passati al fianco “della Mary“, come ancora oggi – quando parla di lei, facendolo al presente – la chiama. Lo ha fatto con un esposto alla Procura di Ferrara in cui ha chiesto di accertare la legittimità delle pratiche palliative utilizzate dai sanitari del Sant’Anna, ma il pm – dopo aver fatto eseguire una consulenza tecnica – ha chiesto l’archiviazione del fascicolo di indagine aperto per omicidio colposo contro ignoti.

Una consulenza in cui – si legge nella richiesta di archiviazione – il medico legale dice che “è possibile affermare che non si sono ravvisati profili di imperizia, nonostante la mancanza di un chiaro consenso riportato nella cartella alla sedazione palliativa continua, che verosimilmente è stato desunto dai sanitari in conseguenza delle continue richieste da parte della paziente di dosaggi aggiuntivi di terapia antalgica (del dolore, ndr) e di aumentare i flussi di ossigenoterapia in corso”.

Nonostante ciò, per la Procura di Ferrara nulla lascia spazio a eventuali ipotesi di reato, essendo “accertato che il decesso è avvenuto per cause non imputabili a condotte penalmente rilevanti di terze persone“.

Il compagno della donna però – assistito dall’avvocato Fabio Nicolicchia – ha presentato un’opposizione alla richiesta di archiviazione, chiedendo la prosecuzione delle indagini per far luce sulla vicenda, dal momento che “la stessa consulenza tecnica contiene in sé tutti gli elementi necessari e sufficienti a giustificare la prosecuzione dell’accertamento“. Questo perché il medico legale “appura, riconosce e afferma con grandissima chiarezza che la paziente è stata sottoposta a sedazione profonda irreversibile senza ricevere alcuna informazione sullo stato della malattia e in mancanza di un consenso espresso“.

Maria Vittoria infatti – secondo il racconto che fa il fidanzato nella denuncia – non ha mai saputo che di lì a poco se ne sarebbe andata. Temeva a volte che la malattia prima o poi potesse prendere il sopravvento, ma fino alla fine pensava a guarire. Non ne venne messa a conoscenza nemmeno quando al compagno comunicarono che ormai le restava poco tempo. Era il 28 giugno, lui avrebbe voluto dirglielo “così che potesse gestire il fine vita, definendo anche alcuni progetti comuni”. Come quello del matrimonio, fissato per il 31 agosto. Non gli fu però possibile – e di questo ancora oggi se ne fa immeritatamente una colpa – perché glielo sconsigliarono. In particolare, una dottoressa gli disse di “vivere la futura e inevitabile morte come un incidente stradale“.

Alla fine quindi – “anche se non convinto” – decise di rispettare la decisione, che comunque gli apparve “immediatamente a dir poco discutibile“. Maria Vittoria infatti era in quel momento – stando alle parole del compagno nell’esposto alla Procura – “perfettamente presente a sé stessa, lucida e capace di intendere e di volere, come è sempre stata fino al momento della sedazione”. Ma non solo, ancora oggi lui stesso ricorda come la compagna gli avesse “più volte manifestato il desiderio di essere informata del proprio quadro clinico reale anche nei momenti più tragici” proprio come lo era quello che purtroppo stava per attraversare in quelli che sarebbero stati gli ultimi giorni di vita.

Il racconto arriva al 9 luglio, quando iniziò il trattamento di sedazione profonda palliativa. Fino alle 10 – si legge nella denuncia – Maria Vittoria era “certamente lucidissima, non in pericolo imminente di vita, presente a sé stessa e del tutto inconsapevole che la propria malattia l’avrebbe portata alla morte in pochissimi giorni, né tantomeno che sarebbe stata irreversibilmente incosciente di lì a qualche ora”. Un atteggiamento che l’ha contraddistinta per tutta la durata del ricovero a Cona, “comprese le ultime ore e gli ultimi minuti di coscienza“.

“Non ha mai avuto la consapevolezza – afferma il fidanzato – che la malattia le avrebbe impedito di continuare la vita fuori dall’ospedale dopo quel ricovero, non importa per quanti mesi o giorni ancora”. E mentre lo racconta, mostra le chat Whatsapp scambiate con un’amica in cui parla di dimissioni. Già a maggio aveva acquistato l’abito da sposa, fissato la data del matrimonio, scelto il catering e la location. Aveva programmato weekend al mare, acquistato farmaci e creme online spediti e arrivati dopo la sedazione. E dal letto di ospedale continuò addirittura a lavorare col computer.

Alle 12.41 del 9 luglio, però, Merchiori arrivò in ospedale e quando salì in reparto trovò la fidanzata “sedata irreversibilmente, mentre solo venti minuti prima era sveglia”. Lo afferma rileggendo il messaggio di un familiare che alle 12.21 gli aveva scritto che la ragazza era “sveglia”. “È stato un blackout, un crollo emotivo per me” prosegue. “In questi mesi – spiega, mentre trattiene a stento le lacrime – ho ripercorso gli eventi di quel giorno, e non sono mai riuscito a trovare una giustificazione logica, o almeno solo un sintomo, a supporto della conclusione per cui Maria Vittoria sia stata sedata col suo valido, reale ed effettivo consenso“.

Dopo quattro giorni di sedazione non alimentata, in cui non si risvegliò più, il 12 luglio, la ragazza si spense e se ne andò per sempre “nell’inconsapevolezza totale” aggiunge.

Ciò che viene dopo ruota tutto attorno al tema del consenso, di chi l’ha fornito, quando e come, ma soprattutto se è stato fornito. “Si potrebbe forse ipotizzare che Maria Vittoria avesse prestato il consenso alla sedazione irreversibile pro futuro, circostanza a me sconosciuta. Quasi superfluo dire che una simile determinazione sarebbe stata condivisa all’interno della coppia che aveva affrontato e vissuto insieme tutte le tappe e le insidie della malattia” prova a ipotizzare il compagno, raccontando – a tal proposito – che i discorsi sulla morte e sul fine vita erano ormai all’ordine del giorno a casa, tanto che insieme avevano anche paventato l’ipotesi – qualora se ne fosse reso necessario – di ricorrere al suicidio assistito in Svizzera.

Discorso diverso sull’eventualità di sottoporsi a trattamenti palliativi: “Mary aveva presente l’eventualità di un futuro e potenziale decadimento del proprio stato, talvolta adombrando anche la possibilità di una morte prematura. Eppure non aveva mai menzionato la volontà di essere sottoposta a trattamenti palliativi di sorta, né sapeva che la sedazione irreversibile fosse imminente e maia vaca fatto cenno a simile soluzione. Maria avrebbe dovuto essere avvertita della sedazione e, se questa informativa ci fosse stata, avrebbe senz’altro voluto congedarsi da me“.

Un ultimo saluto che non c’è stato e che oggi il suo Davide fa fatica ad accettare: “Sarebbe gravissimo se un medico o dei medici avessero disposto della vita della paziente senza il suo consenso, anche se quella vita era sul punto di terminare. La sua autodeterminazione, la sua dignità e il suo diritto di decidere i termini della propria morte, dal punto di vista affettivo, economico, dello status personale, sarebbero stati violati senza alcuna giustificazione. Maria Vittoria, in quel momento, ha subito una degradazione a oggetto nelle mani d’altri. Ha smesso di essere una persona”.

Da qui la decisione di proseguire la battaglia, chiedendo di non archiviare l’indagine con un documento di opposizione in cui – tramite il proprio legale – il fidanzato della ragazza chiede l’imputazione coatta a carico dei sanitari dell’ospedale Sant’Anna di Cona che – secondo  lui – avrebbero dato l’ok al trattamento. Due le ipotesi di reato su cui si chiede di indagare, una alternativa all’altra, vale a dire omicidio o violenza privata. Diversamente, qualora il gip del tribunale di Ferrara non ritenesse di disporre l’imputazione coatta, la richiesta è quella di disporre un supplemento di indagine, con l’effettuazione di una consulenza tecnica di uno specialista in cure palliative e l’audizione di una serie di persone – famigliari, amici e medici – informate sui fatti. Perché “il consenso di Maria Vittoria semplicemente non emerge in quei giorni, non è registrato e non compare” chiude il suo Davide.

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