di Elena Coatti
Copparo. “Nel 2002 riuscimmo a fermare il governo Berlusconi. Ma la precarietà che c’era allora non è neanche lontanamente paragonabile a quella attuale. E non è stata solo la destra a indebolire i diritti: il Jobs Act del 2014, con un governo che si diceva di centrosinistra, ha fatto ciò che la destra non era riuscita a fare“.
Così Maurizio Landini, incalzato dal direttore di Estense.com Marco Zavagli sul palco del De Micheli di Copparo, confronta l’attuale mobilitazione referendaria della Cgil con la storica manifestazione del 23 marzo 2002 contro la modifica dell’articolo 18.
Il segretario generale traccia un quadro preciso del deterioramento delle condizioni lavorative: dal boom del part-time involontario, “erano un milione alla fine degli anni ’90, oggi sono 4 milioni, perlopiù donne con salari da 10-11 mila euro l’anno”, alla moltiplicazione delle forme contrattuali precarie. “Co.co.co, lavoro interinale, stagionali, partite Iva, finti autonomi: se metto in fila i numeri, la precarietà è diventata la regola“.
E con essa, è cambiato anche il ruolo del sindacato: “Fare il sindacalista oggi è più difficile. Non solo perché i lavoratori sono più frammentati, ma perché spesso per difenderli dobbiamo chiedere di non applicare la legge, che paradossalmente è contro di loro”.
Un attacco strutturale e silenzioso: il segretario ricorda come la cancellazione della legge che vietava l’intermediazione di manodopera abbia rappresentato uno spartiacque. “Una volta, se un lavoratore esterno faceva il tuo stesso lavoro nella tua azienda, lo assumevano. Oggi nei pronto soccorso ci sono le cooperative a gettone. E tutti lavorano insieme, ma con tutele diverse. È inaccettabile”.
Landini, però, non si limita a denunciare. Rivolge una forte critica al suo sindacato: “Non sto dicendo che è colpa solo degli altri. Anche noi dobbiamo cambiare. Il sindacato non può tornare nell’ufficio finito il referendum, ma deve stare dove ci sono i problemi”. E racconta di incontri spontanei con partite Iva e persino imprenditori che sostengono il referendum, perché hanno capito che “estendere diritti ai dipendenti è la condizione per ottenerne anche per loro”.
Un sindacato che ascolta, cambia e torna in mezzo alla gente: questa è la visione che Landini offre, consapevole che, per affrontare la crisi del lavoro, serve prima di tutto ricucire il rapporto tra rappresentanza e realtà.
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