Quando ci facciamo male — per un incidente, una ferita, una malattia — non soffre solo il punto colpito.
Il dolore si espande. Ci toglie forza, lucidità, respiro.
Perché?
Perché siamo un tutt’uno. Una sola unità vivente.
Una ferita, anche se piccola, mette in allerta l’intero organismo.
E così è il mondo.
Ogni popolo che soffre è una ferita viva sull’organismo dell’umanità.
Gaza oggi è un campo di sterminio. Esagero?
Una terra dove oltre 50.000 persone hanno perso la vita, dove le case non esistono più, dove ogni ospedale è polvere, ogni bambino è terrore.
Se fosse accaduto a noi, in proporzione, sarebbe come piangere 1.475.000 italiani morti.
Più di tutti i civili italiani vittime della Prima e della Seconda Guerra Mondiale insieme (82.000+15400). Cominciamo a capire, a sentire qualcosa? Ma Gaza non è sola nel dolore.
Il 7 ottobre 2023, Israele è stato colpito da un attacco atroce: oltre 1.200 civili israeliani uccisi brutalmente, famiglie spezzate, bambini rapiti. Una ferita profonda, viva, reale.
Anche quella è umanità calpestata.
Anche quel dolore ci riguarda.
C’è poi l’Ucraina, c’è il Sudan, c’è lo Yemen, c’è la Siria, c’è l’Afghanistan, c’è il Congo, ci sono i migranti nel Mediterraneo.
Sono tutte ferite.
E tutte ci riguardano.
E se avessimo bisogno di una fotografia per ricordarcelo, il mondo ce le ha già mostrate: La “Napalm Girl” del Vietnam (1972) L’immagine di Phan Thị Kim Phúc, bambina di 9 anni che corre nuda e urlante sulla strada con il corpo bruciato dal napalm. Scattata da Nick Ut, quella foto non ha vinto solo il Pulitzer, ha fermato la guerra , un’immagine di una potenza straordinaria.
Samar Hassan in Iraq (2005), una bimba irachena di 5 anni, coperta di sangue, urla nel buio della notte dopo che i suoi genitori sono stati uccisi per errore.
Queste foto non sono vecchie. Le ritroviamo nella striscia di Gaza a centinaia.
L’essere umano non è nato parlando. Non è nato ragionando.
L’uomo, prima ancora di costruire parole e concetti, SENTE.
Sente il proprio suono, il battito, il respiro.
In quel momento è iniziata l’umanità. Il concetto di Umanità è sentire.
Quando il suono dell’altro ha cominciato a entrare nel nostro silenzio.
Quando non si poteva ancora dire “io ti capisco”, ma si sentiva il dolore dell’altro come una vibrazione del proprio.
Essere umani significa questo.
Non è una questione di intelligenza, di civiltà, di cultura.
È la capacità di sentire l’altro dentro di sé.
Di non lasciarlo solo.
Di sapere che la sofferenza dell’altro è anche la nostra.
Chi dice “non ci riguarda” ha dimenticato cosa è.
Mi spiace per il Sindaco Fabbri e per quelli che lo applaudirono, invece di sentire l’urlo di dolore del palestinese in Consiglio Comunale fece altro.
Roberto Baldisserotto