Cronaca
22 Maggio 2025
Parla il medico che supervisionò le attività di sanificazione dello stabilimento Eurovo di Codigoro: "Nessuno mi ha mai segnalato formalmente che non ci fosse un corretto svolgimento delle procedure"

Caporalato durante l’aviaria. Il veterinario Ausl: “Non rilevai grosse anomalie”

di Davide Soattin | 5 min

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Codigoro. Durante i propri sopralluoghi, aveva trovato “tutto regolare” senza rilevare “grosse anomalie” nello svolgimento delle operazioni di bonifica dal virus. È la testimonianza del dottore Massimo Tassinari, medico veterinario dell’Ausl di Ferrara che – tra ottobre e dicembre 2017 – ricoprì il ruolo di responsabile esecuzione del contratto per le attività di sanificazione dello stabilimento Eurovo di Codigoro, dove scoppiò un importante focolaio di aviaria.

Un focolaio che portò all’abbattimento di circa 750mila galline, di oltre 114mila chili di uova e di 80mila chili di mangime attraverso l’impiego di centinaia di lavoratori che – secondo l’accusa della Procura di Ferrara – sarebbero stati sfruttati, violando le norme in materia di retribuzioni, turni, riposo giornaliero e settimanale, igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro. L’accusa per sei persone – oggi a processo – è quella di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera.

Quando eravamo presenti, io e i miei collaboratori controllammo che fossero rispettate le prescrizioni per evitare la diffusione del virus all’esterno dei capannoni, oltre che il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione epidemiologica e i vari percorsi di vestizione, svestizione e disinfezione all’aperto sotto un nebulizzatore” ha spiegato il veterinario ieri (mercoledì 21 maggio) mattina, sentito come testimone della difesa davanti al collegio del tribunale di Ferrara.

“Nessuno mi ha mai segnalato formalmente che non ci fosse un corretto svolgimento delle procedure” ha proseguito il responsabile Ausl, la cui testimonianza si è basata esclusivamente su quello che i propri occhi hanno potuto vedere durante i sopralluoghi. Sopralluoghi che personalmente – tra ottobre e dicembre – ha detto di aver eseguito “una ventina di volte, anche di notte“, aggiungendo che comunque ogni turno – anche quelli notturni – vedeva le ispezioni di un veterinario o di un tecnico della prevenzione.

In tutto erano trenta i tecnici Ausl incaricati a svolgere le ispezioni, che avvenivano “non a orari fissi, ma a sorpresa” ha specificato, con l’obiettivo principale di controllare “la corretta esecuzione dei lavori” affinché il focolaio di aviaria non si estendesse all’esterno dello stabilimento di Codigoro. “A noi interessava che il virus venisse distrutto nelle strutture” ha aggiunto, ricordando – in tal senso – che “c’era stato un caso in cui in un capannone non era stato lavorato bene e quindi dissi di rifarlo“.

Il medico ha quindi elencato quelli che erano i dpi in dotazione ai lavoratori. Stivali in plastica, copri stivali, guanti, caschi ventilatori oppure occhiali protettivi e mascherine Fp2 e Fp3 che – dopo il loro utilizzo – “venivano gettati nei contenitori per lo smaltimento” perché “non dovevano uscire da lì e non dovevano essere portati a casa”. Alcuni – come occhiali e caschi ventilatori – potevano essere riutilizzati più e più volte previa igienizzazione, altri – come le tute – avevano un riutilizzo limitato.

Il veterinario ha poi ricordato che all’inizio delle operazioni di bonifica fece “una riunione iniziale con circa trenta o quaranta lavoratori dipendenti a cui spiegai l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e le caratteristiche del virus, ma non potevo farlo per tutti gli operatori“. “Il resto – ha aggiunto Tassinari – avrebbe dovuto farlo il personale della Cooperativa Agricola del Bidente (appaltatrice dei lavori, ndr) che lo aveva sentito da me e bastava che lo ripetesse agli altri operai”.

“E lo hanno fatto?” è stata la domanda del pm Andrea Maggioni. “Mi dissero di sì, ma non so se sia stato fatto” ha risposto il veterinario. Secondo la tesi della Procura, infatti, alcuni operai avrebbero dovuto fare i conti l’assenza o l’inadeguatezza di dispositivi di protezione individuali per svolgere quel lavoro così delicato e senza le necessarie indicazioni sul corretto svolgimento dei lavori. Altri non sarebbero nemmeno stati informati del rischio di contrarre il virus nel capannone.

A tal proposito, uno dei lavoratori impiegati nei capannoni, sentito come testimone durante le precedenti udienze, aveva raccontato che “ci cambiavamo mascherine senza filtri, tute e stivali, ma non avevamo i guanti. A volte però capitava che non ci venissero forniti i ricambi e allora o lavavamo le mascherine oppure dovevamo andare a cercare nuovi dispositivi nella pattumiera e, se non ne trovavamo, il rischio era anche di fare sei giorni con la stessa roba addosso“.

Tassinari è stato sentito anche su un’ulteriore accusa che la Procura muove nei confronti della Cooperativa Agricola del Bidente, vale a dire quella di aver subappaltato i lavori (che si era regolarmente aggiudicata) alle Coop Agritalia, Veneto Service e Work Alliance senza però aver chiesto e ottenuto alcun tipo di autorizzazione da parte dell’Ausl, come previsto dalla legge. “C’era la possibilità di chiedere il subappalto prima dell’inizio dei lavori, ma è stato fatto solo a posteriori” ha affermato il veterinario.

L’inchiesta – lo ricordiamo – prese le mosse dall’incidente avvenuto lungo l’autostrada A13, nella notte tra il 25 e il 26 novembre 2017, quando un furgone su cui viaggiavano dodici cittadini di nazionalità straniera, di ritorno dall’impianto Eurovo di Codigoro, si ribaltò. Nello schianto perse la vita il 62enne marocchino Lahmar El Hassan, autista del veicolo, residente in provincia di Verona. Da lì, l’avvio delle indagini della Procura di Ferrara fino alla scoperta di un presunto caso di caporalato nel Basso Ferrarese.

Per i fatti che vengono contestati dagli uffici di via Mentessi sono oggi a processo i legali rappresentanti della forlivense Cooperativa Agricola del Bidente (Elisabetta Zani, 55enne, presidente, il suo vice Gimmi Ravaglia, forlivese di 48 anni, e Ido Bezzi, 67 anni, dipendente della cooperativa) e poi il 60enne Abderrahim El Absy della Coop Work Alliance di Cesena, il 63enne Ahmed El Alami della Coop Agritalia di Verona e il 59enne Lahcen Fanane della Coop Veneto Service di San Bonifacio, in provincia di Verona.

Nello specifico, Zani e Ravaglia (Coop del Bidente) dovranno rispondere anche del reato previsto per aver subappaltato la bonifica di Eurovo alle Coop Agritalia, Veneto Service e Work Alliance, senza alcuna autorizzazione da parte dell’Ausl. La cooperativa forlivese, infatti, avrebbe ottenuto un appalto da cinque milioni, ma allo stesso tempo avrebbe poi concesso in subappalto ad altre tre società i lavori di abbattimento dei capi di pollame, di pulizia e disinfezione, in maniera – secondo gli inquirenti – indebita e senza l’autorizzazione dell’Ausl.

Il processo tornerà in aula il 17 settembre.

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