Acceso e in modalità aereo, mentre era sottoposto a sequestro. È così che la Digos della Questura di Ferrara ha tenuto il telefono cellulare di Rossella Arquà durante le indagini relative alle otto lettere minatorie che l’ex consigliera della Lega Salvini Premier, fedelissima di Naomo, tra l’aprile e il giugno 2021, confezionò e lasciò nella sede del partito di via Ripagrande con l’obiettivo di intimidire – secondo quella che è la ricostruzione avanzata dalla Procura – l’ex vicesindaco e assessore Nicola Lodi.
A raccontarlo ieri (19 maggio) in aula è stato Michele Brancaleoni, assistente capo coordinatore della polizia di Stato, oggi di stanza a Rovigo, ma all’epoca dei fatti in servizio a Ferrara sotto la guida del questore Cesare Capocasa, sentito sugli accertamenti eseguiti durante l’inchiesta coordinata dalla pm Isabella Cavallari. Molteplici i “non ricordo” dell’operatore della Digos, tanto che il giudice Giuseppe Palasciano lo ha ripreso, chiedendogli miglior preparazione nel ripercorrere gli eventi.
A introdurre il tema del telefono di Arquà – oggi a processo con l’accusa di minacce nei confronti di Lodi – è stato il legale difensore dell’imputata, l’avvocato Fabio Anselmo (affiancato dal collega Bernardo Gentile) tramite una consulenza informatica di parte che definisce errato il modo in cui è stato custodito il dispositivo elettronico, dal momento che – acceso e in modalità aereo – il cellulare rischia di subire modificazioni automatiche legate ad attività in background tali da portare a una sovrascrittura dei dati.
Arquà poi – come evidenziato da Anselmo durante l’esame di Brancaleoni – ha denunciato lo svuotamento di 54 chat del proprio telefono. Alcune delle quali – sempre secondo la difesa – potrebbero dare una lettura diversa di quanto accaduto durante quelle settimane.
L’assistente capo della Digos – incalzato dalle domande del legale difensore della donna – ha riferito di essere a conoscenza della denuncia presentata dall’ex fedelissima di Lodi, che – al momento del sequestro aveva consegnato anche il codice pin del proprio telefono cellulare – ribadendo però che quella di tenere il dispositivo elettronico acceso e in modalità aereo fino all’esaurimento della batteria è sempre stata una pratica di uso abituale con i dispositivi sotto sequestro.
Brancaleoni – durante le attività investigative – si è anche occupato di esportare le chat tra Lodi e Arquà dal telefono dell’ex vicesindaco. Un’operazione che è stata eseguita il 17 gennaio 2022 e di cui la Digos aveva ricevuto la delega due mesi prima, il 4 novembre 2021. Il poliziotto ha confermato – sempre rispondendo ai quesiti di Anselmo – che Naomo era stato avvisato telefonicamente di questa esigenza operativa, “ma non so chi lo avesse contattato” ha aggiunto in seconda battuta.
“Io ho eseguito solamente la parte tecnica, scrivendo il verbale di acquisizione della chat” ha continuato, spiegando poi che l’esportazione della chat “congela la situazione nel momento in cui viene eseguita, mentre tutto ciò che viene fatto prima non è rintracciabile”.
Per l’avvocato Anselmo – sulla base di quanto risulta dalla consulenza di parte – la Questura, durante la trascrizione di quanto estrapolato dalla chat tra Naomo e Arquà, non avrebbe inoltre riportato le emoticon di accompagnamento allo scambio di messaggi tra i due.
Un dettaglio non secondario per dare un senso a quegli scambi. Un senso diverso se non opposto a quello inizialmente ipotizzato in sede accusatoria. In particolare, in un messaggio, l’imputata – fa notare il legale – scrive a Lodi di essere “preoccupata” con accanto alcune emoticon che ridono, ma che nelle annotazioni della Questura non sono visibili. La motivazione – ha spiegato Brancaleoni – è da ricondurre al fatto che il file Excel utilizzato per riportare la conversazione “non supporta la trascrizione delle emoticon“.
Oltre all’esportazione delle chat, l’operatore della Digos ha visionato le telecamere che erano state installate all’esterno della sede della Lega di via Ripagrande e che – un pomeriggio – avevano ripreso Arquà mentre nascondeva alcune lettere in mezzo a un quaderno, prima di metterle sul parabrezza di un’autovettura. Brancaleoni però ha detto di non ricordare se Arquà fosse a conoscenza della presenza di telecamere, aggiungendo di non sapere “da chi, da quando e nemmeno con quale mezzo erano state installate”.
Anselmo infine – facendo riferimento alla chat Whatsapp della Digos, di cui Brancaleoni ha confermato di averne fatto parte – ha chiesto al poliziotto fosse a conoscenza di alcuni rapporti confidenziali o di amicizia tra Nicola Lodi e alcuni dei propri colleghi. Prima di un’eventuale risposta però il giudice ha deciso di non ammettere la domanda.
L’udienza è stata rinviata al 21 luglio, quando – oltre ad altri due operatori della Digos – sarà ascoltato anche l’ex vicesindaco, ieri assente per un errore di notifica.
Arquà – lo ricordiamo – ha già patteggiato 5 mesi e 18 giorni di condanna per simulazione di reato, dal momento che nelle otto missive erano presenti anche frasi auto intimidatorie, mentre era stata archiviata la posizione in merito a un’altra lettera giunta in municipio contenente un bossolo inerte.
È invece rimasta in piedi l’accusa per minacce, quella per cui oggi è finita a processo, nonostante la difesa avesse chiesto il non luogo a procedere, non essendoci un pericolo concreto e aggiungendo che lo stesso ex vicesindaco fosse a conoscenza di quelle missive. Uno scenario che però Lodi ha sempre negato.
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