di Tommaso Piacentini
Una formula per un’Unione Europea più matura, consapevole e disincantata. Questa è la chiave di lettura offerta da Matteo Scotto, direttore ricerca di Villa Vigoni, centro italo-tedesco gestito da Italia e Germania, nel suo libro “La trappola dell’integrazione? Capire l’Europa degli stati nazionali”, presentato alla libreria Feltrinelli, per affrontare con realismo un’autoanalisi sulle problematiche interne all’Unione, salite alla ribalta a causa del contesto di crisi internazionali che la circondano – la guerra in Ucraina e i dazi del Tycoon – e che hanno trovato il fianco scoperto delle fragilità ataviche dell’organismo europeo.
La presentazione si è inserita all’interno dell’European project festival, il grande evento ideato dalla presidente di Officine Europa Aps, Alexandra Storari, e che si è svolto dal 14 al 16 maggio a Ferrara con lo scopo di riunire le persone di ogni Paese dell’Europa interessati a conoscere, discutere e approfondire le grandi scelte e sfide del futuro dell’Unione. Il dialogo con Scotto, moderato dal direttore di estense.com Marco Zavagli, rappresenta uno dei 40 incontri in programma nel contesto cittadino ferrarese.
L’Europa, è un dato di fatto, negli ultimi anni si trova immersa in un processo di crisi identitaria il cui rimedio viene affidato a due uniche e antitetiche proposte: da un lato l’alternativa populista di chi vuole un ritorno agli antichi stati nazionali, dall’altro la creazione di una confederazione su modello statunitense. A questa ideologia che suona a tutti gli effetti come un aut aut, Scotto propone una terza possibile alternativa, una via di mezzo tra le due citate in precedenza, ovvero quella della cooperazione continentale: “Penso che gli stati nazionali non possano essere derubricati con un colpo di spugna – ha spiegato l’autore – , penso che siano molto vivi nel dibattito e che facciano la loro parte in questo processo di costruzione di una collaborazione a livello continentale e credo che una maggiore unità in Europa non passi per forza dal superamento dello stato nazionale”.
Scotto ha parlato con chiarezza: bisogna uscire dall’infantilismo ideologico europeo. Come in un moderno mito della caverna, i Paesi dell’Unione devono smettere di credere nelle ombre che proiettano l’immagine di un’Europa come un’oasi felice. Solo in questo modo potranno rendersi conto che il progetto degli Stati Uniti d’Europa sono un sogno irrealizzabile e solamente così potranno giungere alla piena maturità di pensiero a cui, tra l’altro, si sono già avvicinati, tramite la convergenza di interessi comuni in programmi come il next-generation eu e la proposta della difesa comune.
La finalità ultima, secondo l’autore, è quindi quella di dare preminenza agli stati nazionali, ma in un’ottica di cooperazione tra gli stessi: “L’Unione Europea salva gli stati nazionali, perché il loro scopo è fare la propria parte nella storia e per farlo devono avere un ruolo nella cooperazione continentale”. Paesi che, comunque, costituiscono la ricchezza e la fragilità dell’Unione, definita dallo stesso Scotto come un “fiore fragile e infinitamente bello”.
Una fragilità e una ricchezza che sono strettamente connesse al concetto di democrazia, in primis in relazione al contesto internazionale, che evidenzia un sistema, come lo ha definito l’autore, “imperialista, con sistemi che non parlano la nostra lingua”. In secondo luogo, diamo per scontato che la democrazia costituisca la perla rara dei Paesi europei, ma siamo sicuri che si realizzi in tutti i 27 stati membri?
La risposta di Scotto a questa domanda racchiude il senso di contemporanea ricchezza e fragilità insito nell’identità dell’Unione: “Noi eravamo convinti, quando abbiamo fatto l’allargamento, che tutti volessero vivere come noi, e così non abbiamo pensato agli strumenti per far rispettare le regole della democrazia”. Rimane però un dato di fatto: il valore aggiunto dell’Ue è racchiuso nella sua diversità”.
Una diversità che, infatti, costituisce la soluzione alla “trappola dell’integrazione” secondo le parole dell’autore, in quanto solamente con l’unione di stati diversi, con identità diverse ed esperienze diverse, insomma solo con una cooperazione continentale, si può salvare l’Unione Europea. Solamente se l’Europa saprà trattare il discorso degli stati nazionali si potrà sottrarre alla sterile dialettica del populismo, ma per farlo dovrà saper accogliere gli interessi convergenti tra di essi, trovando così il proprio baricentro.
Un equilibrio che può essere trovato, secondo l’autore, anche rifuggendo l’idea di poter estirpare la guerra dall’essere umano, prendendo consapevolezza di essere da soli tra due grandi potenze, di cui una stanca di occuparsi dei problemi al di fuori del proprio continente, e pretendendo maggiore potere decisionale nel contesto internazionale al fine di “dare una mano per trovare un equilibrio nel mondo”.
In conclusione, la soluzione alla crisi dell’Unione Europea c’è: basta cercarla in sé stessa.
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