Cronaca
16 Maggio 2025
Vito Mauro Di Gaetano ripercorre l'omicidio di Davide Buzzi: "Mi è crollato il mondo addosso. Potevo scappare? È una delle mille domande che mi tengono sveglio alla notte, ma non c'è stato un momento in cui farlo"

Big Town. Il titolare non ricorda i colpi di lucchetto inferti a Buzzi

di Davide Soattin | 5 min

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Sono le parole che ieri (giovedì 15 maggio) davanti alla Corte d'Assise del tribunale di Ferrara - leggendo le nove pagine di dichiarazioni spontanee scritte in carcere - Giuseppe Di Gaetano, coimputato insieme al figlio Vito Mauro, ha utilizzato per provare a giustificare la 'mattanza' del bar Big Town di via Bologna

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Non ricorda di aver colpito mortalmente Davide Buzzi con quasi quaranta colpi di lucchetto, ma dice di averlo scoperto solamente dopo aver visionato il video della mattanza dentro al bar Big Town di via Bologna. Un “buio” quasi esistenziale che tutt’oggi gli impedisce di riordinare i fotogrammi di quell’orrore, simili a “tante polaroid” sparse – come lui stesso ha detto in aula – e senza un ordine logico.

Vito Mauro Di Gaetano, accusato – insieme al padre Giuseppe – dell’omicidio di Davide Buzzi e di quello tentato di Lorenzo Piccinini, è tornato a parlare davanti alla Corte d’Assise del tribunale di Ferrara. Lo ha fatto ieri (giovedì 15 maggio) pomeriggio – dopo le dichiarazioni spontanee rilasciate qualche mese fa – ripercorrendo “non senza difficoltà” una vicenda di sangue che – prima di rispondere alle domande delle parti – premette fare ancoramale” a distanza di quasi due anni da quella maledetta serata di fine estate che cambiò tutto.

“Quando ho saputo che Davide Buzzi era morto, mi è crollato il mondo addosso” ha affermato il 43enne. “Non volevo ucciderlo e nemmeno aggredirlo” ha proseguito, sottolineando che l’incapacità di ricordare quanto accaduto negli attimi più concitati e violenti dell’aggressione gli provoca attualmente un “tormento“. “Non ero in me – ha successivamente aggiunto l’imputato – perché se lo fossi stato non avrei fatto quello che invece ho fatto. Anche in questo momento, davanti a voi, sto cercando di restare lucido, ma sto morendo dentro“.

Molteplici i punti toccati da Di Gaetano durante il proprio esame. Dallo “stupore” per lo schiaffo arrivato nella serata del 25 agosto – dopo la prima richiesta di pizzo – da parte di Buzzi, che lo accusava della morte del figliastro Edoardo Bovini, al licenziamento in massa dei dipendenti “per paura” fino alla denuncia delle pressioni ricevute alla Questura. “La cosa più giusta da fare per avere una maggiore tranquillità” ha detto, insieme alla richiesta di un buttafuori per il fine settimana e la contestuale installazione di un pulsante antipanico nel bar.

Tutti fattori che hanno contribuito “ad alimentare il mio timore” ha detto, raccontando però che “non potevo permettermi di chiudere“. E quindi, la sera dell’omicidio, si trova da solo dietro il bancone, col padre Giuseppe a fargli compagnia. Di Gaetano ha riferito in aula di un primo passaggio in moto di Buzzi che gli aveva promesso di ritornare, della prima telefonata ai carabinieri e del successivo arrivo della pattuglia che, non potendo restare, dopo alcuni controlli della zona, gli dice di telefonare qualora il tatuatore 42enne fosse tornato al locale.

Ansia” e “paura” sono i sentimenti che lo pervadono in quegli istanti, “soprattutto – ha spiegato – per la mancanza di clienti che pensavo avrebbero potuto far desistere Buzzi“. “Andavo avanti e indietro per il locale e tenevo un lucchetto in mano con cui mi sentivo più sicuro, che – ha aggiunto – gli avrei lanciato addosso prima di scappare”. A un certo punto però la clientela arriva e l’agitazione di Vito Mauro si placa, tanto che decide di riporre il lucchetto alla sinistra della porta d’ingresso del bar – “dove lo mettevo sempre” – ma la quiete dura poco.

Dì lì a poco, Buzzi e Piccinini entrano nel locale. Vito Mauro Di Gaetano dice di aver chiesto a un cliente di telefonare al 112 e di aver spinto contemporaneamente il pulsante antipanico, “ma sono rimasto sotto choc quando hanno picchiato mio padre perché in quarantatré anni non ho mai visto una violenza tale“. Con loro, i due hanno anche una tanica di benzina che viene appoggiata sul bancone e che, secondo la ricostruzione dei fatti che fa l’imputato, dopo aver colpito Giuseppe e averlo allontanato fuori dal bar, Buzzi – con un gesto – sarebbe andato per aprire.

“È stata la prima volta in vita mia – ha successivamente sottolineato – che ho provato una paura così forte. Avevo il fiato corto, come se qualcuno mi stesse schiacciando il petto. Le gambe mi tremavano e il cuore mi era finito in gola. Ero paralizzato, pietrificato dalla paura“. A risvegliarlo da quella situazione sono le urla di Buzzi che chiede di chiamare l’ambulanza, dopo che Giuseppe aveva ferito Piccinini col coltello all’addome. “Ho cercato di capire cosa stesse succedendo e mi sono resto conto che era stato colpito da mio padre”.

“Ho sempre cercato, in tutti i modi, di riportare un po’ di calma e di mantenere la lucidità, cercando di avviare un dialogo, di assecondare le richieste di aiuto. Avevo anche telefonato ai carabinieri e ai sanitari del 118 perché volevo tranquillizzare Buzzi” ha proseguito Di Gaetano, ma la situazione finisce irrimediabilmente per precipitare nell’angolo sinistro del locale, dove però la telecamera di sorveglianza non arriva e impedisce di fornire una ricostruzione chiara e oggettiva di quanto accade in quella parte di bar non ripresa.

“Mentre chiudo la seconda telefonata col 118 mi arriva un colpo da Buzzi nella parte sinistra del volto che mi fa volare via gli occhiali. Avevo indietreggiato e il cuore aveva iniziato a battermi forte. Ero affannato e avevo le orecchie tappate. Ho il flash di Buzzi – ha provato a ripercorrere a fatica la sequenza – che cerca di afferrare una bottiglia, mentre io ricordo di aver fatto il gesto di prendere le altre bottiglie presenti sul bancone per portarle via, finendo per lanciarne alcune”. “Eri indemoniato” gli dirà a tal proposito suo padre Giuseppe, come emerge da un’intercettazione ambientale nella cella del carcere di via Arginone in cui i due vengono trasferiti.

Poco dopo quel lancio di bottiglie c’è la feroce aggressione a colpi di lucchetto, ma il titolare del locale dice di non ricordarla.

Ricorda solo di essere uscito dal bar e di sentirsi “confuso e svuotato, privo di forze” ha riferito, mentre il corpo senza vita di Buzzi giaceva steso a terra davanti al bancone. Dice di essere rientrato e di averne sentito “ancora il respiro affannoso”, prima di uscire di nuovo in strada per cercare di capire cosa fosse successo, “attirando l’attenzione dei carabinieri e indicandogli la presenza di una persona da soccorrere”. Qualcuno gli ha chiesto se non avesse potuto scappare prima che il fatto sfociasse nel sangue invece che restare nel bar. “È una delle mille domande che mi tengono sveglio alla notte, ma non c’è stato un momento vero e proprio in cui poter scappare” ha risposto.

Si torna in aula il 26 giugno.

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