le radici dell’Ulivo prima – e del Partito Democratico poi – affondavano nella sintesi tra differenti culture politiche: il socialismo democratico, il liberalsocialismo, il cristianesimo democratico e sociale. Fu quella un’epoca di grande fermento positivo, nella quale l’obiettivo era cercare punti in comune per costruire, non divergenze per “allontanare” o “distruggere”. Da giovane attento ho vissuto quella stagione con grande fermento e coinvolgimento, tuttavia pochi anni dopo la nascita il Partito Democratico è stato vittima di diversi personalismi, che hanno snaturato e messo in secondo piano le idee di fondo che in precedenza erano state utili e necessarie a dare una lettura critica della società e ad elaborare risposte ai problemi nonché a costruire e a formare una classe dirigente (allora) di spessore.
Il centro sinistra di oggi è figlio dell’epoca dei personalismi: lo si nota dalle battaglie intestine di simpatie o antipatie per questo o quel candidato, nell’incapacità di accettare il confronto con idee divergenti o parallele rispetto alla propria, nell’assenza di spessore sufficiente ad elaborare proposte politiche proprie invece di limitarsi a sposare alternativamente proposte di un sindacato piuttosto che di un’associazione datoriale o di un movimento di difesa di questo o quel valore e/o diritto.
Per rilanciare un gruppo è necessario ripartire dallo “stare insieme” e in questo i cristiani impegnati politicamente nel centro sinistra debbono tornare ad avere un ruolo di primo piano, proponendo uno stile differente volto a “costruire” e a “proporre” e non a distruggere, ma anche nel riaffermare la propria specificità e la cittadinanza delle proprie idee in un contesto che li vede ben inseriti in relazione ai temi sociali, ma isolati e da silenziare rispetto a temi etici e affini, non comprendendo che la visione cristiana sull’uomo costituisce un termine essenziale di raffronto più che mai attuale nella lettura del presente, specie quando si parla di temi come la digitalizzazione, la diffusione massiva dei dati delle persone e da ultimo dell’intelligenza artificiale.
Questi avvenimenti nel corso degli ultimi dieci anni hanno cambiato e continuano a mutare sia le relazioni tra le persone, che le dinamiche lavorative e sociali. Solamente la politica pare non occuparsene. Vero è che l’Unione Europea ha legiferato in materia, ma senza una socializzazione e consapevolezza diffusa nell’affrontare certe dinamiche la popolazione non può prendere piena contezza e senso critico circa ciò che accade, con effetti negativi sulla vita quotidiana, sui diritti e sull’esercizio della democrazia.
Così debbono tornare protagonisti anche altri fondamenti ideali, oggi confinati sullo sfondo rispetto alle persone che dovrebbero rappresentarli. L’idea socialdemocratica della difesa del mondo del lavoro, l’idea liberalsocialista di proporre uno sviluppo economico nel rispetto dei lavoratori e dell’ambiente devono tornare a dare corpo e anima all’azione politica che oggi pare avere solo nomi e cognomi.
Insomma è doveroso alzare il livello e tornare a fare politica alta e autentica, per affrontare le gravi sfide che il presente ci impone.
Non solo a livello nazionale, ma anche a Ferrara e provincia serve contribuire a formare un’identità unitaria in questo senso: aperta ed inclusiva perché capace di valorizzare le diversità all’interno di una piattaforma comune nella consapevolezza che lo stare insieme è un valore, uno stile, un progetto, un esempio per migliorare le nostre comunità sempre più divise, frammentate e conflittuali.
Livio Poletti