Cronaca
6 Maggio 2025
Arriva la sentenza definitiva della Corte di Cassazione. Respinto il ricorso dell'Ausl che ora dovrà risarcire il danno ai parenti del 46enne Cristiano Turati, scomparso dopo sette anni di coma

Morì dopo il ricovero al Delta. Ai familiari oltre 365mila euro di risarcimento

di Redazione | 3 min

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La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’Ausl di Ferrara, condannandola a pagare 366.890 euro come risarcimento dei danni nei confronti dei famigliari di Cristiano Turati, il 46enne morto – il 20 ottobre 2016 – dopo il ricovero all’ospedale del Delta di Lagosanto.

L’inizio dei fatti risale al 4 novembre 2009, quando l’uomo, una volta arrivato al pronto soccorso, venne ricoverato nel reparto di Gastroenterologia, dopo la comparsa di episodi di vomito associati a un intenso bruciore e fastidio gastrico che proseguivano da alcuni giorni. Lì, il giorno seguente, a causa del peggioramento delle funzioni cognitive e comportamentali dell’uomo, vennero richieste una serie di consulenze psichiatriche, a seguito delle quali al paziente fu somministrata terapia con benzodiazepine.

Il 10 novembre però, a seguito dell’insorgere di evidente desaturazione, furono successivamente richieste consulenze cardiologiche e pneumologiche, dove venne riscontrato che la causa della desaturazione era da ricondurre al carico di benzodiazepine utilizzato per sedarlo, ancora prima di sottoporlo – sotto sedazione – a Tac cerebrale e raggi x.

La stessa sera, dopo un ultimo accesso da parte del personale infermieristico alle 20.30, l’uomo fu ritrovato in arresto cardio-respiratorio alle 21.45. Venne rianimato e poi trasferito in Terapia Intensiva in coma post-anossico. Ci rimase fino all’8 febbraio 2010, per poi venire trasferito nel reparto di Lungodegenza, e successivamente a una struttura privata in stato comatoso, da cui però non si riprese mai più, fino al giorno della morte, avvenuta sette anni più tardi, il 26 ottobre 2016.

Due i principali addebiti avanzati ai sanitari: l’errata somministrazione di benzodiazepine e l’inadeguato monitoraggio di parametri vitali nella fase di risveglio dalla ulteriore sedazione per eseguire la Tac cerebrale.

In primo grado, il giudice del tribunale di Ferrara aveva inizialmente rigettato la domanda di risarcimento danni, dal momento che la valutazione medico legale, depositata nel precedente accertamento tecnico preventivo, aveva escluso un errore dei sanitari nella somministrazione dei farmaci, e in particolare dei sedativi. Per il tribunale, dunque, non ci fu né imperizia né imprudenza nella somministrazione dei farmaci e nel loro dosaggio, le scelte dei sanitari furono corrette e necessarie, tanto da classificare le crisi cardiache come un evento imprevisto e imprevedibile.

In secondo grado invece, dopo aver rimesso la causa in istruttoria per una migliore valutazione della vicenda, la Corte d’Appello di Bologna aveva chiamato il medico legale a chiarimenti su specifici quesiti le cui risposte potessero chiarire la responsabilità medica, ribaltando quanto era stato inizialmente deciso dal tribunale di via Borgo dei Leoni.

Sulle conclusioni della consulenza tecnica di ufficio, la Corte d’Appello aveva infatti sentenziato: “Ai sanitari che hanno lasciato il paziente del tutto privo di qualunque sorveglianza per un’ora e un quarto va rimproverato di non avere avuto la corretta percezione del peggioramento delle condizioni del paziente e di non averle adeguatamente fronteggiate o con un trasferimento in altro reparto o con l’applicazione di strumenti di monitoraggio in modo da rendere possibile un intervento più tempestivo che, secondo lo stesso consulente tecnico di ufficio, avrebbe potuto ridurre o forse anche evitare le conseguenze altamente invalidanti patite dal paziente”.

La Corte, quindi, aveva valutato la condotta dei sanitari non adeguata e non accorta delle condizioni del paziente, così come confermato anche dalla sentenza della Corte di Cassazione.

 

 

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