Prorogata fino al prossimo 12 ottobre la mostra allo Spazio Antonioni con gli scatti del grande fotografo statunitense Bruce Davidson, sul set del film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni. L’esposizione racconta l’incontro tra uno dei membri della leggendaria agenzia fotografica Magnum e il regista ferrarese considerato uno dei padri della cinematografia moderna. Entrambi hanno saputo scrutare nelle pieghe della realtà senza preconcetti regalando all’osservatore uno sguardo meravigliato e al tempo stesso consapevole sui molteplici volti del continente americano.
Approdato negli Stati Uniti nel 1968 per ritrarre un paese che incarnava l’essenza del suo tempo, Michelangelo Antonioni sceglie Bruce Davidson come fotografo di scena sul set di Zabriskie Point: sin dalla prima produzione l’americano ha messo in campo una straordinaria capacità di addentrarsi in territori poco familiari facendo emergere, anche dai soggetti più degradati, una dignità morale ed estetica. Il reportage che dedica a Zabriskie Point è considerato uno dei servizi magistrali della storia delle foto di scena.
Il film propone un viaggio nell’universo giovanile delle controculture, ma è anche l’occasione per esplorare un mondo denso di luci e ombre in cui si riconoscono tratti ancora attuali: «le montagne, il deserto, la città, le foreste di cactus, ma anche i ghetti, la gente che soffre, quella che si rivolta, quella che sa e capisce senza la forza di rivoltarsi, quella che forse è colpevole» (Antonioni,1969).
Davidson trova materia infinita per dare un volto indimenticabile a ciascuna di queste sfaccettature. Ritratti, vedute di Los Angeles, paesaggi lunari della Death Valley restituiscono il mosaico composito di una società dove convivono il mito del benessere e l’evasione nel selvaggio West, la violenza e la repressione, le architetture più avveniristiche e una natura quasi primordiale. Prolungando lo sguardo oltre il consueto la realtà più comune assume un significato emblematico e il paesaggio più solitario si sublima in un’opera d’arte ai limiti dell’astrazione. Un altro affascinante punto di tangenza tra Antonioni e Davidson è l’affinità con le ricerche visive, tra informale e Pop Art, che sfidano le proprietà della materia grezza o s’interrogano sull’immaginario della società dei consumi.
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