di Elena Coatti
Un dispositivo capace di “annusare” le feci e rilevare in anticipo la presenza di un tumore al colon. Non è fantascienza, ma il risultato di oltre dieci anni di ricerca condotta all’Università di Ferrara: Scent A1 nasce dall’idea del fisico e professore Cesare Malagù, che ha guidato un team di ricercatori per rivoluzionare lo screening per il cancro colorettale.
Professor Malagù, ci spiega in parole semplici come funziona il vostro dispositivo?
Certo. Si tratta di un piccolo macchinario che sfrutta dei sensori molto sensibili – li chiamiamo microdispositivi – in grado di modificare la loro resistenza elettrica in base ai gas con cui entrano in contatto. Quando c’è una lesione intestinale, come un tumore o un adenoma, le feci trascinano con sé dei composti organici volatili che normalmente il nostro organismo non produce. Noi li intercettiamo: è come se stessimo leggendo l’impronta digitale chimica del colon.
Quindi, attraverso l’analisi dell’aria che passa sulle feci, il dispositivo riconosce la presenza del tumore?
Esatto. Le feci vengono inserite in un piccolo contenitore, su cui poi facciamo passare dell’aria. Quest’aria trasporta i composti organici fino ai sensori, che li analizzano. I dati vengono elaborati da algoritmi di machine learning, che restituiscono una risposta: positivo o negativo. Il tutto con una precisione dell’85%, confermata dopo tre anni di sperimentazione su un campione di mille persone.
In cosa si differenzia dal test del sangue occulto attualmente usato nei programmi di screening?
La differenza è sostanziale. Il test del sangue occulto rileva la presenza di sangue nelle feci, che può essere segnale di tumore, ma non sempre è presente. Il nostro dispositivo invece cerca dei marcatori chimici specifici prodotti dal tumore stesso, anche in assenza di sanguinamento. Questo lo rende complementare, e in alcuni casi più precoce.
Qual è il potenziale impatto di questo test sulla sanità pubblica?
Altissimo. Al momento il sistema sanitario offre lo screening gratuito alle persone tra i 50 e i 70 anni, ma negli ultimi anni abbiamo osservato un abbassamento dell’età media dei casi di tumore al colon: anche persone tra i 35 e i 45 anni sono colpite, ma non rientrano nei programmi di prevenzione. Il nostro obiettivo è rendere disponibile il test nelle case di cura private e in farmacia, offrendo una possibilità concreta anche a questa fascia di popolazione.
Come è nata l’idea?
Nel 2013, durante una conferenza a New York, vidi che stavano studiando sensori simili per analizzare il respiro e individuare tumori ai polmoni. Tornato in Italia, mi sono chiesto: perché non provare con l’intestino? Abbiamo costruito un intestino artificiale in laboratorio, fatto le prime simulazioni, e i risultati sono stati incoraggianti. Nel 2015 abbiamo fondato la startup Scent srl, e insieme a medici e ricercatori abbiamo sviluppato il prototipo fino alla certificazione CE.
Quando e dove sarà disponibile il test?
Abbiamo dato priorità alla clinica Quisisana di Ferrara, che ci ha sostenuto nella ricerca. Lì partirà ufficialmente tra qualche mese la sperimentazione sul campo. In futuro vogliamo estendere il dispositivo ad altre strutture in Emilia-Romagna, come Bologna, Ravenna e Cesena, e poi in tutta Italia. In parallelo, puntiamo a rendere il dispositivo disponibile anche nelle farmacie.
In conclusione, cosa si augura per il futuro di questa tecnologia?
Che possa salvare vite. Che venga adottata come strumento parallelo e integrativo allo screening attuale, e che contribuisca a ridurre i costi della sanità intervenendo prima che il tumore diventi invasivo. La diagnosi precoce, per questo tipo di tumore, può significare una sopravvivenza superiore al 95%.
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