di Elena Coatti
Quest’anno, per il corteo del 25 aprile a Ferrara, si è scelto un punto di partenza che parla forte e chiaro: via Ippodromo, il luogo dove vent’anni fa veniva ucciso Federico Aldrovandi, appena diciottenne, per mano di quattro agenti della Polizia di Stato. Una scelta simbolica, potente, che unisce due memorie: quella della Resistenza partigiana e quella alle ingiustizie.
In quella stessa via, Lino Aldrovandi, padre di Federico, è commosso nel vedere tanti giovani partecipare e rendere omaggio a suo figlio. “Il 25 aprile è una data che segna l’inizio della libertà, ed è qualcosa che dovremmo sempre ricordare. Ma non basta questo: bisogna metterla in pratica. Partire da qui, da via Ippodromo, è come partire da un luogo dove è cominciata una nuova resistenza, una resistenza alle ingiustizie”.
“Federico non fu un eroe, era solo un ragazzo che avrebbe voluto vivere e magari oggi sarebbe qui a festeggiare quello che altri, prima di lui, avevano conquistato – confessa Lino –. Sono passati vent’anni e, insieme a tante componenti della società, anche giornalisti, abbiamo cercato di costruire un percorso. Ma è stato un percorso complicato, perché tante nefandezze, anche da parte delle istituzioni, continuano a verificarsi”.
Sul cartello stradale che indica “via Ippodromo” è stato applicato foglio, semplice ma struggente: “via Federico Aldrovandi, ragazzo, 1987-2005”. Poco prima della partenza del corteo, su un pannello di legno, qualcuno ha lasciato un graffito: “Aldro vive”. Due gesti profondi, che restituiscono dignità a un luogo trasformato in simbolo, e a una storia che troppo a lungo è stata ridotta al silenzio.
“Non è solo memoria – dice Andrea del Collettivo 25s – è resistenza. Oggi come allora. Siamo in un tempo di repressione inedita, in cui lo Stato legittima la violenza delle forze dell’ordine. Il governo Meloni ha approvato in fretta e furia un decreto sicurezza che consente agli agenti sotto processo di restare in servizio, e che prevede rimborsi fino a 10mila euro per le loro spese legali. Uno scudo che rafforza l’impunità, una resa incondizionata dello Stato ai suoi apparati repressivi”.
Il parallelo con la Resistenza del ’45 non è solo retorico, ma politico e generazionale. “I partigiani erano ragazzi, come Federico. Anche loro hanno scelto da che parte stare. Anche loro si sono ribellati a un sistema violento, a una repressione che passava per le strade, le piazze, le caserme. Oggi quei ventenni che camminano nel corteo sono gli stessi che non vogliono dimenticare, non vogliono più tacere”, conclude Andrea.
La ferita di Aldro, a Ferrara, è ancora aperta. Per anni la città è rimasta in silenzio, ma oggi quel silenzio si rompe in un grido che risuona forte nelle voci dei più giovani: “La polizia ha ucciso Federico”. E oggi, come allora, la memoria si fa scelta. Scelta di esserci, di resistere, di non accettare più la normalizzazione della violenza di Stato.
Perché da via Ippodromo, il 25 aprile, non è partito solo un corteo. È partita una promessa: non dimenticare, non arrendersi, non restare in silenzio mai più.
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