Attualità
7 Aprile 2025
L'autore palestinese ha presentato alla Sala Polivalente del Grattacielo il suo libro "Quando i picchetti sono fioriti"

Aysar al-Saifi a Ferrara: “La letteratura come atto di resistenza culturale”

(Foto di Riccardo Giori)
di Redazione | 6 min

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di Riccardo Giori

La Sala Polivalente del Grattacielo di Ferrara ha ospitato la presentazione del romanzo “Quando i picchetti sono fioriti” dello scrittore palestinese Aysar al Saifi, pubblicato da Prospero Editore nell’ottobre 2024. L’evento, organizzato dall’equipaggio di terra dell’associazione Mediterranea Saving Humans a Ferrara, ha visto l’autore dialogare con Luca Greco, attivista di Mediterranea e segretario generale Filt Cgil di Ferrara, offrendo al pubblico un’opportunità di approfondimento sulle tematiche affrontate nel libro e sulle esperienze personali dell’autore.

Nato nel 1988 nel campo profughi di Dheisheh a sud di Betlemme, l’autore parla del suo romanzo partendo dal titolo del libro strettamente legato alla sua condizione di profugo nel suo stesso paese. “Il campo di Dheisheh è stato creato nel 1950 dopo la guerra della Nakba, del 1948” racconta, “all’epoca c’era un’agenzia internazionale che ha dato delle tende a tutti i profughi, mia nonna mi ha raccontato questa storia, quando si sono trasferiti nel campo pensavano di doverci rimanere poco tempo tant’è che mio nonno tenne sempre con sé le chiavi di casa, nella speranza di tornarci il prima possibile. Ora nel campo profughi dove fu piantata quella tenda ci sono due grandi alberi. Mia nonna poi è morta sotto quegli alberi, da qui ho avuto l’idea di scrivere il libro.”

Quando i picchetti sono fioriti è un romanzo che trasporta il lettore nel cuore pulsante della Palestina, raccontando le sfide e le speranze di un popolo attraverso le storie intrecciate di tre personaggi ambientate in un villaggio immaginario sotto occupazione: Rawi, giovane giornalista palestinese, Mina, ragazza italiana di origini meridionali e Motaz, un giovane tassista di Betlemme che a sua volta riporta le storie che normalmente ascolta dai suoi passeggeri, persone che vivono tra una città e un’altra, occidentali devono oltrepassare i posti di blocco, e palestinesi che a questi posti di blocco invece vengono uccise. Queste tre vite, sebbene diverse, si intrecciano in una narrazione collettiva che dà voce a un popolo spesso dimenticato. Attraverso le loro esperienze, il romanzo esplora temi universali come l’identità, la memoria, la resistenza e la ricerca di significato in un contesto di oppressione. Ogni pagina è un invito a immergersi nelle profondità dell’animo umano e a comprendere le sfide di chi vive in una terra segnata da conflitti e speranze.

Durante la serata, sono stati letti alcuni passi significativi del romanzo, permettendo ai presenti di immergersi nelle storie dei protagonisti. Al Saifi ha condiviso episodi della sua vita in Cisgiordania sotto l’occupazione israeliana, offrendo una testimonianza diretta delle difficoltà quotidiane e delle forme di resistenza culturale. “Dal 7 ottobre fino adesso nove persone della mia famiglia sono finite in una prigione israeliana, incluso mio padre e mio fratello, ma ci arrestavano arbitrariamente anche prima dello scoppio della guerra.” Racconta che il padre è uscito dal prigione due mesi fa, ma è stato comunque arrestato due volte: “lui ha 80 anni, è direttore di una grande associazione sociale in Bethlehem che si occupa di attività culturali legate ai giovani e di reinserire nella società gli ex-detenuti, dato che le persone ascoltano la sua voce e lo rispettano, gli hanno detto che è meglio se sta rinchiuso. Se ti occupi di cultura in Palestina per Israele sei pericoloso, ad esempio sanno che io qui scrivo libri, e hanno già interrogato più volte la mia famiglia su quello che faccio. Le carceri israeliane vengono citate spesso nel libro, “mio fratello invece è in prigione da più di un anno e non sappiamo niente di lui. In Israele ci sono centinaia di prigioni regolari, ma le più pericolose sono quelle segrete, di cui nessuno sa niente e dalle quali è impossibile sapere qualcosa dei propri cari rinchiusi”.

Al Saifi spiega che alcuni episodi del libro sono strettamente legati al suo vissuto in Cisgiordania, parlando dei numerosi posti di blocco presenti sulle strade racconta infatti un episodio personale. “C’era questo soldato israeliano, gli dissi che quel giorno avevo dimenticato i documenti. Allora lui estrasse dei foglietti di carta, dovevo pescarne uno. Dentro ogni foglietto c’era scritto quello che mi sarebbe successo come punizione per non avere con me i documenti: mi avrebbe rotto una gamba, o un braccio, o qualcos’altro. Nel foglietto che pescai c’era scritto che mi avrebbe rotto le dita di una mano, ma fortunatamente ci fu un problema con l’autista della macchina dietro la nostra e il soldato si distrasse, così riuscimmo a scappare.”

Nonostante la violenza e la brutalità di alcuni episodi raccontati, nel romanzo trovano spazio anche storie d’amore e momenti emozionanti. Attraverso le storie intrecciate di Rawi, Mina e Motaz, l’autore restituisce dignità e complessità alle vicende individuali, evidenziando l’umanità resistente dietro ogni esperienza. Questo approccio narrativo non solo riflette la frammentazione dell’esperienza palestinese, ma sottolinea anche l’importanza della memoria collettiva e della narrazione come strumenti di resistenza culturale. “Come c’è un’occupazione militare c’è anche un’occupazione culturale, e forse l’occupazione culturale è ancora peggio perché lavora per cancellare l’identità e la cultura del popolo che vive sotto occupazione, nel campo profughi dove vivevano i miei nonni, quando l’esercito israeliano trovava dei libri dentro le tende, arrestavano tutti i membri di quella famiglia” poi aggiunge “a Gaza stanno cancellando totalmente la nostra cultura e la nostra identità” precisa Al Saifi “per questo resistiamo in diversi modi, e uno di questi metodi sono proprio i libri. E qui viene l’importanza della letteratura come mezzo di difesa, lavora per proteggere le persone, educarle, serve a creare conoscenza e consapevolezza pubblica e invita la gente a resistere davanti alle occupazioni, perché io personalmente credo che ogni essere umano abbia il diritto di resistere”.

Quando i picchetti sono fioriti pertanto non è solo un libro ma un vero e proprio atto di resistenza culturale, trasformandosi anche in un invito a non distogliere lo sguardo, a comprendere che dietro i numeri e le statistiche che vediamo ogni giorno ci sono vite umane, ricordi e sogni. Al-Saifi ci ricorda che la libertà non viene mai regalata, ma è il frutto di una lotta incessante, come sottolinea il personaggio di Rawi nel finale del libro.

L’incontro si è concluso con una sessione di domande e risposte, durante la quale il pubblico ha potuto interagire direttamente con l’autore, approfondendo ulteriormente le tematiche trattate nel libro e le sue esperienze personali, rappresentando un’importante occasione di scambio culturale e di riflessione sulla realtà palestinese contemporanea. Incalzato dal pubblico sull’attuale situazione politica l’autore precisa: “mi reputo contrario a quello che ha fatto Hamas, ma sono anche contrario a quello che sta facendo l’Autorità Palestinese in Cisgiordania per come sta gestendo le cose, e soprattutto sono contrario a quello che è il progetto sionista”. Secondo Al Saifi quella che si sta verificando a Gaza non è una guerra ma un vero e proprio progetto colonialista in atto da decenni e che, sfruttando diversi fattori tra cui un’assoluta deriva estremista della politica israeliana e un governo statunitense favorevole, ha visto un’accelerazione con l’obbiettivo di cacciare definitivamente il popolo palestinese dalla propria terra. Infine non nascondendo un velo di pessimismo ha poi aggiunto: “per quel che mi riguarda come scrittore continuerò a dare il massimo per infondere luce e speranza a tutti questi giovani che lottano per la loro sopravvivenza, ma personalmente ho iniziato a perderla questa speranza. Ho visto tre guerre da quando sono nato, ma quello che sta succedendo ora è completamente diverso, se non si farà rispettare il diritto internazionale non esisterà più un futuro per il popolo palestinese.”

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