Quattro anni e quattro mesi. Sono quelli che il gup del tribunale di Ferrara ha inflitto ieri (mercoledì 9 aprile) con rito abbreviato a un 32enne di nazionalità pakistana, finito alla sbarra con l’accusa di maltrattamenti in famiglia aggravati e violenza sessuale nei confronti della propria moglie, una connazionale di 24 anni, sposata con un matrimonio combinato.
Un inferno fatto di botte e abusi, quello a cui l’uomo l’aveva costretta, che la giovane vittima – lo ricordiamo – riuscì a far emergere incrociando il proprio sguardo con quello di una donna che – qualche anno prima – era stata costretta a vivere lo stesso identico incubo e che – come lei – stava attendendo il proprio turno nella sala d’aspetto del pronto soccorso.
I fatti finiti al centro dell’inchiesta – per cui la pm Barbara Cavallo aveva chiesto una condanna a quattro anni e due mesi per l’imputato – erano avvenuti tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 in un paese della provincia di Ferrara, quando la giovane – assistita dall’avvocato Sara Bruno – era incinta.
In quel periodo, secondo l’accusa, oltre a insultarla, l’uomo le aveva impedito di avere una vita sociale. L’aveva infatti prima privata del telefono cellulare, negandole di comunicare liberamente con altre persone, e poi le aveva anche vietato di frequentare una scuola di lingua italiana e una di guida per prendere la patente. Inoltre l’aveva strattonata in più occasioni, picchiandola e trascinandola giù per le scale, nascondendo infine un cellulare in modalità registrazione nella camera da letto, in modo da avere sotto controllo i contenuti di quelle poche conversazioni che aveva col telefonino.
Al 32enne la Procura di Ferrara contestava successivamente anche l’aver costretto la donna a subire una serie di rapporti sessuali anche quando lei non voleva. In quegli istanti tremendi, l’aveva denudata con la forza, le aveva messo le mani sulla bocca e successivamente l’aveva tenuta ferma, impedendo così che la giovane – che in quei momenti provava dolore e piangeva – si divincolasse nel tentativo di spingere via l’uomo e di fuggire da quel vortice di abusi e violenze da cui ormai era diventato impossibile scappare.
Se non fosse che un giorno, accompagnata dal marito e dai famigliari di lui al pronto soccorso per un problema, mentre aspettava il proprio turno – come si raccontava inizialmente – la giovane chiese aiuto a una donna che aveva vissuto la sua stessa situazione. La giovane si fece capire al volo, senza proferire parola. Prima con gli occhi, poi – non conoscendo l’italiano – digitando una richiesta di aiuto sul telefono con Google Translate che mostrò, senza farsi vedere dai suoi accompagnatori.
La sua interlocutrice – con un gesto alimentato da una forte solidarietà femminile – allertò così le autorità facendo partire le indagini degli uomini della Polizia di Stato a carico dell’uomo, che ieri – dopo la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura di Ferrara – è stato condannato in primo grado.
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