di Riccardo Giori
Dall’inizio della guerra seguita dall’invasione russa in Ucraina, più di due milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case per spostarsi verso zone più sicure. Migliaia di queste si sono riversate nell’ovest del paese trovando riparo a Leopoli (Lviv) in strutture costruite a pochi mesi dall’inizio del conflitto o in vecchi edifici riconvertiti a strutture ricettive, raddoppiando la popolazione della città e trasformandola suo malgrado nel più grande hub di sfollati del Paese per la sua vicinanza al confine europeo. É in questo contesto che Mediterranea Saving Humans – associazione di promozione sociale nata nel 2018 in risposta ad una feroce politica migratoria e dall’indignazione per le migliaia di morti che ogni anno avvengono nel Mar Mediterraneo – continua a operare sin dal 2022 inviando periodicamente dall’Italia convogli di aiuti umanitari destinati ai profughi ucraini.
L’ultima missione, la diciottesima dall’inizio del conflitto entrato il mese scorso nel quarto anno consecutivo, è partita il primo marzo ed è stata organizzata dagli equipaggi di terra di Mediterranea operanti in Emilia-Romagna in collaborazione con i volontari di Music&Resilience, progetto di musico-terapia in zone di conflitto attivo dal 2013. Insieme agli attivisti provenienti da diverse città della regione, tra cui Bologna, Ferrara, Carpi, Cesena, Formigine, Modena, Parma, e Reggio Emilia, il convoglio composto da cinque mezzi ha trasportato circa tre tonnellate di beni di prima necessità raccolti grazie a una rete solidale di associazioni, imprese e cittadini dell’Emilia-Romagna.
Dopo un giorno di viaggio, il quadro che si delinea varcata la frontiera ucraina è desolante: la popolazione civile è allo stremo e vive in uno stato di stress cronico. Con un’impressionante normalizzazione dello stato di guerra, quasi nessuno scende più nei rifugi al suono dell’allarme, a quattro anni dall’inizio del conflitto i problemi sono ormai diventati altri. Il Paese è piegato da una gravissima crisi economica e da un’inflazione alle stelle dovuta al conflitto e ai continui prestiti internazionali che hanno già irrimediabilmente indebitato lo stato ucraino per i prossimi decenni, mentre per chi è rifugiato la vita appare ancora più dura per la difficoltà di reperire anche i beni di prima necessità o avere accesso a cure adeguate a causa dei costi diventati proibitivi. Gli aiuti umanitari consegnati dagli attivisti di Mediterranea, destinati proprio ai campi profughi di Leopoli, includevano infatti cibo, prodotti per l’igiene e materiali per l’infanzia, rispondendo alle crescenti difficoltà della popolazione locale nell’accesso a questi beni di consumo.
Chi ha perso tutto vive in un limbo nel quale spera che finita la guerra venga loro riconosciuto un risarcimento per riprendere in mano la propria vita. “Per chi come me ha visto la propria casa rasa al suolo dai bombardamenti russi, lo stato ha promesso dei soldi per poter ricomprarne una, ma non sappiamo quando lo avremo, forse una volta finita la guerra”, ci racconta una signora scappata da Sloviansk pochi mesi dopo l’inizio dell’invasione russa. Anche Yuri, veterano di guerra poco più che trentenne congedato per via dei sintomi da stress post-traumatico, nutre la stessa speranza, anche lui viene dall’est del paese ed è ospitato da una delle strutture gestite dalla chiesa ucraina, poiché come tanti altri non ha più una casa in cui tornare insieme alla sua famiglia.
Non è raro incontrare ex militari come Yuri, ma la maggior parte degli ospiti presenti nelle strutture che visitiamo insieme a Mediterranea sono madri con i figli, adolescenti e persone anziane rimaste completamente sole, “non ho più una casa e nessuno per cui continuare a vivere, sarei contenta se morissi domani” confessa Kateryna, una ex-insegnante ottantenne mentre ci parla della sua vita con lo sguardo stanco e rassegnato ma con ancora tanta voglia di raccontarsi. Ma la crisi economica non l’unica ad aggravare la situazione dei profughi interni: c’è anche il serpeggiare di un sempre meno celato razzismo nei confronti della popolazione russofona. Molti sfollati provengono dalle regioni sud-orientali dell’Ucraina al confine con la Russia e vengono discriminati proprio per la loro vicinanza culturale a quello che ad oggi, per la maggior parte degli ucraini, è identificato come uno stato terrorista.
Nonostante i grandi proclami delle ultime settimane, l’aggressione russa sembra infatti non voler finire e nella città di Leopoli la vita sembra scorrere al ritmo di una finta normalità. Ma basta guardarsi intorno per capire che la situazione è tutt’altro che normale: oltre ad essere in vigore la legge marziale e il coprifuoco serale, la quantità di mutilati e invalidi in circolazione è spaventosa. Nei cimiteri non si sa più dove seppellire i morti e quello di Lychakiv è il triste emblema di questa situazione, avendo trasformato anche il piazzale antistante al cimitero in una gigantesca distesa di croci e tombe sulle quali svettano bandiere ucraine insieme ai simboli dei rispettivi reggimenti militari.
La maggior parte dei veterani congedati o dei caduti ha meno di trent’anni, un’intera generazione annientata, mentre gli uomini che non si sono ancora arruolati restano nascosti nelle case per evitare i reclutamenti coatti da parte dell’esercito, impedendo loro di avere una vita normale, andare al lavoro, contribuire al mantenimento della propria famiglia o fare visita ai parenti. Fuori dal un locale è affissa una locandina, pubblicizza un concerto di beneficenza ma specifica che tutti i proventi della serata verranno utilizzati per l’acquisto di droni esplosivi. Quasi ogni nucleo famigliare ha almeno una persona uccisa in guerra, e passando vicino a un campo da calcio è impossibile non notare una squadra intenta ad allenarsi: hanno meno di trent’anni ma a tutti loro manca una gamba e si muovono per il campo aiutandosi con le stampelle. Sono tutti ex militari ci racconta l’allenatore, lo sport li aiuta a recuperare una sorta di normalità dopo gli orrori del campo di battaglia.
Oltre alla consegna degli aiuti materiali, i volontari di Mediterranea hanno offerto supporto psicologico e sociale anche attraverso attività di musicoterapia nei campi profughi e nei centri di accoglienza informali. I musico-terapeuti hanno lavorato in completa sinergia con gli attivisti dell’associazione, organizzando momenti musicali e di convivialità e contribuendo a migliorare il benessere emotivo delle persone sfollate. Nel distretto di Sykhiv è presente uno dei campi profughi più popolosi di Leopoli, appena i musicisti iniziano a suonare sono tanti i bambini che accorrono attirati da un clima di festa anomalo per quella che è la loro quotidianità, molti si fanno coinvolgere all’istante mentre altri restano temporaneamente ad osservare in disparte. “Sono attività che a noi possono sembrare semplici o frivole, ma in contesti come questo assumono un’importanza fondamentale, specialmente per bambini che hanno vissuto quasi tutta la loro vita scappando dalla guerra” afferma Marco Lolli di Music & Resilience, “ogni volta che ce ne andiamo ci chiedono se ritorneremo presto e questo ci conferma quanto sia importante essere qui ora, dimostrando ancora una volta come la musica possa trasformarsi in un linguaggio universale per creare legami forti anche tra persone che non parlano la stessa lingua”.
Come in tutte le precedenti missioni in Ucraina insieme agli attivisti è presente anche un team sanitario di medici volontari che in precedenza forniva assistenza medica tramite un costante presidio mobile a Leopoli. “Il contesto negli ultimi due anni è cambiato molto e continua a mutare, da una situazione emergenziale com’era all’inizio della guerra si è passati ad una stabilità cronica, ora le persone hanno bisogno di un tipo di assistenza diversa da quella che offrivamo all’inizio” spiega Vanessa Guidi, coordinatrice del team sanitario e vice presidente di Mediterranea mentre a bordo di un furgone ci si dirige verso un ex studentato trasformato in una struttura di accoglienza. I quattro medici presenti hanno implementato un progetto di prevenzione ed educazione alla salute, fornendo informazioni e formazione pratica agli ospiti dei campi, dall’auto-palpazione per la prevenzione del tumore al seno alla misurazione della pressione della pressione arteriosa, visitandone alcuni e aiutandone altri con i farmaci e le prescrizioni di cui hanno bisogno.
“Se le missioni precedenti hanno evidenziato una progressiva riduzione del supporto internazionale, lasciando molte persone sfollate in uno stato di abbandono, questa missione ha confermato la necessità di un intervento continuo – spiega Eleonora Stano, capo missione in Ucraina per Mediterranea – specialmente quando l’attenzione mediatica viene rivolta ai giochi politici internazionali che mirano unicamente a interessi economici predatori mentre le sofferenze delle popolazione civile passano in ultimo piano”.
Lasciamo la città di Leopoli con più domande che risposte su quelli che saranno gli effetti di questo conflitto una volta finito, ma anche con la consapevolezza che a volte basta davvero poco per migliorare la vita delle persone, persino quando gli occhi del mondo guardano altrove. In tutto questo Mediterranea Saving Humans rinnova il suo impegno nel sostenere le persone costrette ad abbandonare le proprie case, con l’obiettivo di garantire assistenza e solidarietà in un contesto di conflitto prolungato. Ma l’associazione invita soprattutto la società civile a continuare a supportare le missioni umanitarie, sottolineando l’importanza di non lasciare sole le vittime della guerra. “Quello che facciamo non è di per sé eccezionale, se continuiamo ad essere al fianco delle persone è perché c’è una parte della società civile che, come noi, ha scelto di non rimanere indifferente” dice Eleonora Stano sulla via del ritorno in Italia: “Insieme basta poco per generare un cambiamento e non bisogna temere nel scegliere di prendere posizione. È importante continuare a voler essere lì, per non far cadere nel dimenticatoio la situazione che vivono queste persone, procurato dal silenzio dell’indifferenza”.